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Le 5 fasi del metodo Vendere in Germania

Nel mio ultimo articolo, ho iniziato a parlarti del metodo Vendere in Germania: un sistema calibrato in ogni passaggio, che ho messo a punto sulla base di anni di esperienza nel settore.

Il mio punto di partenza sono stati – in gran parte – gli errori che ho visto commettere (e che ho commesso io per primo, a suo tempo) da molte realtà che cercavano un modo per sbarcare sul mercato tedesco.

Con questo articolo, entrerò più nel vivo raccontandoti a grandi linee quali sono i 5 principali step del mio metodo.

 

5 step per andare sul sicuro se vuoi vendere in Germania

Prima che ti presenti, una per una, le diverse fasi del mio metodo, ti faccio una domanda preliminare: hai comprato il mio libro? Te lo chiedo perché in uno dei capitoli finali troverai – trattate in modo molto più approfondito – le stesse fasi che nel libro ho descritto con dovizia di particolari. Se vuoi saperne di più, quindi, leggi il libro che puoi trovare direttamente qui.

E ora, ecco le 5 fasi in cui si articola il metodo Vendere in Germania:

  • STRATEGIA D’ATTACCO: il primo step che serve giusto per mettere le basi di tutto quello che si farà successivamente. Le fondamenta, quindi… e le fondamenta sono importantissime! Questa fase dura più o meno 4 mesi: un lasso di tempo in cui si lavora a ritmo serrato per mettere a fuoco punto di partenza, strategia e obiettivi. Tra le varie cose, questo step serve anche a capire quali sono gli strumenti in possesso dell’azienda e cosa le manca per competere sul mercato. Tra questi strumenti, per esempio, ce n’è uno che ha un’importanza fondamentale. Per ora, non ti anticipo nulla però: ne parleremo nei prossimi articoli
  • POTENZIAMENTO: paragono sempre questa fase al momento in cui si sta per partire e si controlla se si ha tutto in valigia. Durante i mesi di Potenziamento, viene anche fatto un feedback dei primissimi contatti presi e l’azienda viene dotata di alcuni elementi fondamentali per presentarsi sul mercato. Anche di questo parleremo meglio nei prossimi articoli
  • ACCERCHIAMENTO: la nostra fase di sbarco sul mercato tedesco procede con una più ampia e precisa profilazione tanto dei contatti quanto della concorrenza. Gli strumenti messi in campo nelle fasi precedenti – viaggi di lavoro compresi – vengono riadattati in base ai feedback ricevuti
  • CONVERSIONE: l’obiettivo di questa fase, in cui le maglie della nostra rete si stringono sempre di più, è la trasformazione dei contatti in clienti. Anzi, in clienti “in target”, opportunamente profilati attraverso i check delle fasi precedenti
  • ESPANSIONE A differenza delle favole, che finiscono sempre con “e vissero tutti felici e contenti”, vendere in Germania – così come qualsiasi processo basato su una strategia di marketing – implica sempre “guardare avanti”. Consolidando i risultati ottenuti ma mettendo in conto anche nuovi obiettivi da raggiungere

Detto ciò, quanto tempo ci vuole per ottenere dei risultati? Del tema, ho già parlato in questo articolo ma se vuoi saperne di più (ognuna delle 5 fasi che ho descritto ha una sua specifica durata), contattami pure!

 

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Come funziona il metodo “Vendere in Germania”

Ebbene sì, questa volta ti ho lasciato in sospeso per un po’! D’altra parte, il lavoro è tanto e a volte faccio fatica a trovare il tempo necessario per aggiornare il mio blog. Vediamo di recuperare le fila, quindi. Nel mio ultimo articolo – che trovi qui – ti avevo parlato dell’importanza di affidarti a un professionista in grado di garantirti una strategia di marketing ben fondata e un metodo di lavoro a tutta prova per vendere in Germania.

Come ti dicevo, è sempre meglio diffidare di chi ti promette risultati straordinari in tempi brevissimi. Il classico: “tutto e subito” che – per la cronaca – esiste solo nel mondo del fantasy. Quello che conta, piuttosto, è confrontarsi con il professionista a cui ci si vuole affidare sottoponendogli alcune domande utili. Vediamo quali.

 

Le domande utili da fare per sapere se chi hai davanti può aiutarti davvero a vendere in Germania

Giusto per farti un esempio: quando organizzi un viaggio, come fai a decidere quale tragitto seguire? Vai su Maps, imposti la modalità “tragitto” e decidi solo in base ai tempi che Google ti propone? Immagino di no. Prima di decidere, vorrai sapere quali mezzi dovrai usare. Quanto costano. Se gli aerei che dovrai prendere appartengono a una compagnia affidabile o (per esempio) a una low cost che ti costerà poco ma ti cancellerà il volo con 24 ore di preavviso.

Ecco, diciamo che quando valuti un professionista che ti offre la sua esperienza per vendere in Germania, ti conviene entrare in questo tipo di mentalità. In fondo, quello che dovrai fare, è metaforicamente proprio un viaggio. Evita quindi di chiedergli quanto ci metterai a raggiungere la meta e domandagli piuttosto: come mi garantisci che otterrò dei risultati? Cosa farai per capire che tipo di risultati posso realmente ottenere? Qual è la tua strategia? In quante fasi si articola il tuo metodo? Quanto possono durare approssimativamente le diverse fasi? Quale sarà il mio ruolo?

In base alle risposte che ti verranno date, potrai capire chi hai davanti e se hai a che fare con un professionista in grado di garantirti un metodo efficace per vendere in Germania.

 

I presupposti del mio metodo “Vendere in Germania”

Nel mio libro (se non l’hai fatti, puoi ordinare la tua copia qui), parlo in modo approfondito delle diverse fasi in cui si articola il mio metodo. Te ne parlerò nel prossimo articolo: per ora, mi preme piuttosto dirti quali sono i suoi presupposti.

  • Un metodo è un metodo: non uno standard. Il metodo “Vendere in Germania”si basa quindi su una strategia rigorosa costituita da fasi ben congegnate. Questo non significa, però, che il mio metodo funzioni con lo stampino. Fare il copia-incolla è impossibile: ogni cliente è unico e irripetibile e ogni situazione va studiata a sé.
  • L’approccio bulimico non funziona! Per costruire il metodo “Vendere in Germania” mi sono basato su uno degli errori che vedo compiere più di frequente. Molti si gettano “a pesce” nell’impresa di aprirsi un varco verso il mercato tedesco e lo fanno compiendo tutte le azioni commerciali possibili e immaginabili, condotte in modo disordinato. Ecco, questo è proprio il tipo di approccio che il mio metodo evita perché non porta da nessuna parte.
  • Il metodo “Vendere in Germania” coinvolge in toto anche l’imprenditore. Per dirla in pillole: o ci sei dentro, o non funziona. In quanto parte in causa, l’imprenditore è chiamato a collaborare in modo attivo e dovrà tenere una sorta di diario di bordo, intervenendo con appunti e feedback
  • L’immagine migliore per descrivere il metodo “Vendere in Germania” è la cosiddetta strategia della rete. Non la pesca a strascico, però! La mia strategia non consiste nel raschiare il fondo e tirare su tutto quello che capita, ma nel gettare una rete a maglie larghe restringendo poi – progressivamente e in modo mirato – le maglie
  • Il cliente non va cercato: va selezionato. Un cliente non in target è solo un peso in più… e costa!
  • Decidere di vendere in Germania (o in un altro Paese estero) significa accettare di cambiare e di avviare la propria azienda verso una trasformazione migliorativa che avrà ripercussioni anche in altri settori

Detto questo, il mio metodo si articolo in 5 fasi. Quali? Seguimi e ne parleremo nel prossimo articolo. Se invece non vuoi proprio aspettare e muori dalla voglia di saperne di più, non esitare a contattarmi.

 

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Vendere in Germania: quanto tempo ci vuole per ottenere dei risultati?

Domanda da un milione di dollari! I clienti me la pongono spesso. Aprirsi un varco per vendere in Germania è un’operazione che richiede tempo. Naturale che chi si impegna in questa mission non-impossible, voglia anche sapere quanto ci voglia per ottenere dei risultati tangibili. Non a caso, questo è un aspetto di cui ho parlato per esteso nel mio libro. A proposito, hai già ordinato la tua copia? Si tratta di un manuale agile ed esaustivo che affronta tutte le principali domande che le aziende mi presentano. Probabilmente, quindi, tra le sue pagine potresti trovare una risposta anche alle tue domande. Ma torniamo al tema principale di questo articolo. Hai deciso di puntare sul mercato tedesco e sei pronto a impegnarti ma (giustamente) vuoi sapere se il gioco vale la candela.

 

Vendere in Germania: ecco perché non devi fidarti di chi ti promette tempi brevi

In genere, la risposta che do ai miei clienti è di una sincerità disarmante. Cosa che molto spesso va a cozzare con le risposte di consulenti che hanno il vizio di promettere mari e monti. C’è chi, infatti, non si fa scrupoli di sorta e promette risultati concreti nel giro di pochissimi mesi. Una risposta che dovrebbe mettere subito l’interlocutore sul “chi va là” per diversi buoni motivi. 

Punto primo: una risposta del genere non può, in nessun caso, essere una risposta “preconfezionata”. Un processo di apertura verso i mercati esteri è sempre, infatti, qualcosa che va rigorosamente tagliato e cucito su misura per il cliente. E i clienti non sono tutti uguali. Non hanno le stesse caratteristiche di fondo. Non hanno le stesse esigenze. E non hanno le stesse lacune da colmare. Quest’ultimo, soprattutto, è un elemento chiave. Vendere in Germania (ma non solo in Germania!) implica un rigoroso e spesso impietoso processo di analisi che parte necessariamente da una domanda: l’azienda è già pronta ad affrontare il mercato tedesco? Oppure, per evitare di buttar via tempo e risorse, dovrà prima rivedere il suo armamentario e dotarsi di ciò che manca? 

 

Dopo quanto tempo è ragionevole aspettarsi dei risultati?

Partiamo da un presupposto, che può sembrare paradossale ma che riflette la realtà: vendere costa. E non costa poco: un buon motivo per non lanciarsi a capofitto in un’operazione che (condotta male) può provocare non poche vittime. Ecco perché quando rispondo ai miei clienti, preferisco farlo con sincerità. E soprattutto con cautela.

Se vuoi vendere in Germania, il lasso di tempo che dovrai mettere in conto per ottenere risultati tangibili è di circa un anno. Ma – e sottolineo molto il “ma” – i mesi che dovrai investire dovranno essere tutto tranne che mesi di immobilità e attendismo. Saranno mesi di trasformazione. Mesi in cui dovrai metterti più volte in discussione. Mesi di costruzione e di creazione di una strategia di marketing efficace. La verità è che vendere all’esterno implica la messa in campo di un intenso processo trasformativo e migliorativo. 

La domanda, quindi, che ti suggerisco di fare al professionista a cui deciderai di affidarti, è un’altra. Ovvero: in che modo prevedi di farmi raggiungere i risultati che desidero? Qual è la tua strategia? E qual è il tuo metodo? E proprio su questa parola d’oro – “metodo” – andremo a scavare nei prossimi articoli, dove ti parlerò del mio metodo “Vendere in Germania”: di come l’ho costruito e di quali sono i suoi punti di forza. 

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germania post covid
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Come è cambiato il mercato tedesco post Covid? 5 + 1 cose che devi sapere

Chi si occupa di export in Germania, guarda alla fase che stiamo ancora attraversando con
preoccupazione ma anche con curiosità. Uno degli aspetti che mi piacciono di più della mia
professione, è che lavorare come esperto nell’ambito dell’export mi impone di essere sempre
“sul pezzo”. Ed essere sempre sul pezzo in una congiuntura fluida come quella attuale,
caratterizzata da cambiamenti profondi, è una sfida continua. In questo articolo, cercherò di
mettere a fuoco alcuni aspetti fondamentali di cui dovrai tenere conto se vuoi
espanderti sul mercato tedesco. Tanto per cominciare, inizio subito col porti una domanda:
sei proprio sicuro che le cose siano cambiate in modo così radicale? La risposta a questa
domanda ti stupirà.

Export in Germania. Ecco cosa devi sapere se vuoi conquistare il mercato tedesco OGGI

Ebbene sì. La conoscenza del mercato tedesco che ho accumulato negli anni, con la pandemia
mi ha spinto a fare alcune previsioni. Che col tempo hanno dimostrato di aver colto nel segno.

1- Se ti stai chiedendo se il mercato tedesco è ancora oggi, in tempi di Covid, un valido
interlocutore su cui puntare, la risposta è sì. Anzi, per essere precisi la risposta è sì, anche
più di prima. Questo è il primo aspetto di cui mi sono sempre sentito sicuro. Sul piano
commerciale, quella tra Italia e Germania è un’amicizia di lunghissima data che poggia le
fondamenta su rapporti più che consolidati. E già questa è una buona notizia. Ma non solo.

Passiamo al secondo punto
2- Sei ancora indeciso sul fatto di puntare sull’export in Germania o se invece guardare più
in là, ai mercati extraeuropei? Spero di no: mai come ora ti conviene stringere il cerchio e
guardare ai mercati più vicini. Mercato tedesco in primis. In questo senso, lo scenario
pandemico ha confermato tutti i rischi che ho già evidenziato in passato. Inviare merci in
Paesi extraeuropei oltre che più costoso, rischia anche di essere molto più difficile. Senza
contare gli ulteriori fattori di rischio che intercorrono quando – fra i Paesi extraeuropei – si
punta su quelli che hanno economie fragili e non ancora consolidate. In confronto a queste
difficoltà, il mercato europeo è ancora di più, a maggior ragione, un grande campo di
opportunità

3- Se ti chiedi quanto siano cambiati i rapporti commerciali Italia-Germania post
pandemia, ti rispondo subito che le basi sono sempre le stesse. Ne ho parlato
approfonditamente nel mio libro ma per dirla in termini semplici: diffidenze e differenze
rimangono. E di base, al netto di alcuni pregiudizi effettivi, dovrai dimostrare al tuo cliente
tedesco che sei serio. In questo senso, ti consiglio vivamente di non usare mai come scusa le
difficoltà messe in campo dalla pandemia. E – nel caso – di fare il possibile per superarle. Sul

mercato tedesco è facile perdere la faccia (ma soprattutto i clienti) per inaffidabilità e
faciloneria. Se vuoi partire col piede giusto, quindi, considera che il Covid, la pandemia e le
difficoltà della situazione attuale non sono una buona scusa.

Rispetto al periodo pre-Covid, è bene tu tenga bene a mente una cosa: al momento (e
presumibilmente ancora per un po’) non potrai puntare sulle fiere per entrare in contatto
con nuovi clienti. Cosa che naturalmente vale anche per il mercato tedesco. Almeno per ora, le
fiere non sono ancora ripartite. E il tentativo di trasformarle in fiere online non ha dato i frutti
sperati.

4- Anche ora che le restrizioni si sono allentate, ti sarà un po’più difficile che in passato
organizzare incontri sul posto. Spesso ti sentirai dire che “l’azienda non accetta ancora
visite”: è una difficoltà che dovrai mettere in conto e che potrai cercare di arginare usando
tutti quegli strumenti online che nel periodo pre-pandemia erano molto meno sviluppati di
oggi.

5- Mai come oggi, nell’epoca dell’online, l’offline e gli incontri dal vivo possono essere
preziosi. Diciamo pure che in questo frangente – in cui tutti siamo saturi di videocall – un
incontro dal vivo può essere più difficile, sì, ma anche molto più redditizio. La differenza con i
tuoi futuri clienti tedeschi, si giocherà quindi anche su questo: sulla tua capacità di sfruttare
tutti gli strumenti dell’online ma anche sulla tua disponibilità a “esserci” (in presenza, dal
vivo) quando questo è possibile. In questo senso, il punto sarà mettere a fuoco una vera e
propria strategia dosando online e offline in modo mirato.

+1…

Ed ecco l’ultimo punto, con cui mi riallaccio all’ultimo. Se vuoi investire le tue energie sul
mercato tedesco, c’è un aspetto fondamentale che vale oggi così come contava ieri, pre-
pandemia: la differenza la fa la strategia cioè il fatto di inquadrare le tue azioni di
marketing in una cornice coerente. Le azioni casuali, per quanto buone, non portano mai da
nessuna parte. Se vuoi trasformare le tue azioni di marketing in frecce pronte a colpire il
bersaglio, è tempo di metterti al tavolino.

Se vuoi saperne di più su come creare una strategia tagliata e cucita su misura in base alle tue
esigenze, contattami!

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export covid
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Export e Covid: come sono cambiati i mercati con la pandemia?

Sono in molti, oggi, a chiedere come sia cambiato l’export in epoca di Covid. In realtà, però, la domanda andrebbe posta in altro modo.

Parlare di export in epoca di pandemia, significa chiedersi in realtà non cos’è cambiato ma – piuttosto – come stanno cambiando i mercati e cosa, di queste trasformazioni, rimarrà anche a pandemia finita. Per dirla in termini molto semplici, “siamo ancora in ballo”. Stiamo ancora surfando sulle onde di una situazione fluida in cui le cose migliori da fare sono tre: mantenersi in equilibrio, saper cavalcare la corrente e conoscere la propria meta.
Ma vediamo di fare un rapido screening della situazione attuale. Perché è vero: alcune cose sono cambiate e in modo tutt’altro che prevedibile. Quella che ti abbozzerò di seguito, è la mia personale visione. Una chiave di lettura che ho sgrezzato alla luce di anni di esperienza nel settore.

Mercati e pandemia

Partirò dal contesto generale: mercati e pandemia, appunto. Cosa è cambiato per l’export in questi due anni di Covid? Per partire col piede giusto, è necessario fare i dovuti “distinguo” e porre la domanda in altri termini. Ovvero: cosa è cambiato per l’export all’interno dei Paesi dell’Unione Europea? E cosa è cambiato per i Paesi fuori UE? Perché in realtà, è proprio questo spartiacque a fare la differenza.

Se per i viaggi (di lavoro o di piacere) la pandemia ha posto dei paletti notevoli, con il trasporto merci la differenza non l’hanno fatta tanto i paletti quanto i prezzi. Ed è questo il principale cambiamento, una novità che ha finito per giocare a favore del commercio interno ai Paesi UE. L’impennata dei prezzi di molti prodotti extraeuropei, ha avuto infatti come diretta conseguenza quella di incrementare la domanda interna.

Sotto questo punto di vista, la situazione attuale non ha fatto che confermare alcuni capisaldi della mia visione di cui parlo anche nel mio libro .

Alle aziende che si rivolgono a me, ho sempre consigliato di concentrare una parte importante del proprio fatturato sui mercati interni evitando di guardare solo (o soprattutto) oltreoceano.

In questo senso, le conseguenze della pandemia mi hanno dato fin troppo ragione. Un esempio fra tutti: quello dei mercati asiatici, dove politiche di gestione della pandemia molto diverse dalle nostre hanno avuto come conseguenza quarantene importanti e un impatto particolarmente evidente del Covid sull’export. Decisamente chi ha puntato sui mercati europei ne è uscito molto meglio.

Export e Covid: come è cambiato il modo di trovare nuovi clienti?

Come consolidare i rapporti con i propri clienti e come trovarne di nuovi? Altra domanda urgente che la pandemia ha portato alla ribalta. E a cui sono state date risposte per certi aspetti nuove.
Il potenziamento delle videocall, l’incremento degli e-commerce, l’impennata del web utilizzato come strumento per trovare nuovi clienti (vedi le campagne sponsorizzate di lead generation), la riduzione all’osso delle fiere… Potrei andare ancora avanti ma penso che già questo piccolo elenco basti. Nel settore della comunicazione con i propri clienti, il Covid ha senza dubbio inciso molto sull’export.

Il fatto che la pandemia abbia spinto in direzione di un incremento dell’online è sotto gli occhi di tutti. Ma si tratta davvero di un’inversione di tendenza? Cosa rimarrà di tutto questo a pandemia finita? Senza dubbio l’online è stato un supporto fondamentale negli ultimi due anni. Ci ha fornito strumenti utili e ha contribuito a sviluppare canali di comunicazione paralleli incrementando una tendenza che in realtà (a ben vedere) già esisteva.

Personalmente, tuttavia, sono fermamente convinto di una cosa. E anche in questo caso, si tratta di qualcosa di cui parlavo già ben prima della pandemia: l’online non potrà mai sostituire in toto l’offline. Anzi, diciamolo, l’incremento dell’online degli ultimi due anni ha amplificato ulteriormente l’esigenza di tornare a potenziare la comunicazione vis à vis. I viaggi di lavoro servono, gli appuntamenti di persona continueranno a rimanere la forma più efficace di comunicazione con il proprio cliente. E quindi? La fine della pandemia segnerà il tramonto dell’online? No, tutt’altro. Sarà molto, ciò che ci porteremo a casa da questa esperienza. Alcuni viaggi di lavoro superflui e alcune riunioni di troppo verranno sostituite da incontri online con ovvio risparmio di tempo e di denaro. Detto ciò, l’offline rimarrà e coesisterà con le nuove modalità di comunicazione. Soprattutto (ma non solo!) per quanto riguarda le fiere dove – diciamocelo! – la modalità online ha dato risultati discutibili.

Per concludere, sono convinto che il futuro dell’export dopo il Covid si giocherà sull’abilità di incamerare le innovazioni utili portate dalla situazione attuale, declinandole alla luce di una visione di insieme. Prescindendo tanto da previsioni pessimiste quanto da facili ottimismi. Detto ciò, il tema è troppo complesso. Nei prossimi articoli, vedrò di andare più a fondo. Se vuoi saperne di più, continua a seguirmi! E se desideri approfondire alcuni elementi più nello specifico, non esitare a contattarmi.

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Macchine Utensili
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Macchine Utensili: focus sul settore

Macchine utensili: come scegliere il mercato su cui esportare?

Il 2020 e questa prima parte del 2021 hanno rappresentato una sfida non da poco per tutti i produttori di Macchine Utensili.

 

Senza dubbio la pandemia ha inciso su ogni settore: com’era ovvio e prevedibile che fosse, anche sul commercio di macchine utensili. È quanto si evince dai dati, che evidenziano però un panorama tutt’altro che immobile e sicuramente non in total black.

Se infatti il divario tra 2019 e 2020 è palese, nei primi mesi del 2021 la tendenza sembra invertirsi e mostra una situazione in evoluzione. Cosa che, ovviamente, rende il panorama molto più complesso ma anche molto più interessante.

 

I numeri dell’export

Piccola, doverosa premessa. Di numeri, nell’ultimo anno, ne abbiamo visti fin troppi. Nella maggior parte dei casi, però, la disponibilità di dati non ci ha aiutati ad avere le idee più chiare. I numeri servono, sì, ma dati a cascata (senza nessun criterio selettivo) non hanno nessuna utilità.

Questo anche per quanto riguarda i dati relativi all’export. Le percentuali che mettono in luce il divario rispetto agli anni precedenti vanno quindi considerate obbligatoriamente cum grano salis. Il perché, lo vedremo dopo.

 

Ma veniamo ai dati: come è cambiato l’export italiano di macchine utensili con la pandemia? E quali sono i principali Paesi verso cui si è orientato?

 

Nel primo trimestre del 2021 ricominciano a crescere gli ordini di macchine utensili dei costruttori italiani. In particolare, l’UCIMU, segnala nei primi tre mesi dell’anno, un incremento del 48,6% rispetto allo stesso periodo del 2020.

 

L’incremento, al momento, risulta più significativo sul mercato italiano, in realtà anche grazie agli incentivi agli investimenti in nuove tecnologie di produzione previsti dal Piano Transizione 4.0

 

Sui mercati esteri, gli ordini sono cresciuti del 30,5% rispetto al periodo gennaio-marzo 2020.

È importante però fare dei distinguo perché mentre Cina e USA si segnalano per un’attività particolarmente dinamica, il vecchio Continente sembra un po’ in ritardo e mostra solamente adesso i primi segnali di forte ripresa.

 

Tutti dati che fanno ben sperare e che hanno trovato riscontro nell’incremento di ordini che molti produttori di macchine utensili stanno registrando in questi mesi. Il clima generale, attualmente, è di cauto ottimismo.

Non è però tutto oro quello che luccica, infatti questi dati sono confrontati con il 2020 anno in cui, nella prima parte gli ordinativi sono crollati.

Se prendiamo tuttavia come termine di confronto la cesura rappresentata dalla pandemia (e quindi la differenza tra il 2019 e i primi due mesi del 2021), i numeri mettono in evidenza una prevedibile battuta d’arresto. In questo senso, secondo i dati Istat, le esportazioni totali hanno segnato un 15,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, per un valore totale di 366 milioni di euro.

 

Tra i Paesi verso cui si sono orientate le esportazioni, gli Stati Uniti sono stati il primo mercato di sbocco con 36,4 milioni; al secondo posto, la Germania, con 35,4 milioni (-19,2%) seguita a ruota dalla Cina (28,8 milioni) e poi (dopo la Francia) da due mercati in crescita: Polonia, e Russia.

Buone, le vendite in Messico (dove si è registrato un +57,9%) e – contrariamente a quanto si potrebbe desumere dalla Brexit in corso – nel Regno Unito (+130,4%).

 

Dietro alle quinte: cosa ci dicono davvero i dati

Alla luce della differenza tra il 2020 e gli esordi del 2021, come vanno considerati questi dati? E soprattutto, come devono/possono essere usati per mettere a fuoco una strategia reattiva che permetta a un’azienda produttrice di macchine utensili di far decollare nuovamente le proprie vendite?

 

Certo, le cifre in negativo del 2020 e la situazione non ancora risolta sul fronte pandemico invitano alla cautela.

Eppure, la situazione attuale mostra come le cose stiano già cambiando.

E come la portata negativa dei numeri del 2020 vada circoscritta. Punto primo: i dati ci dicono che nel 2020 c’è stata una riduzione delle vendite (aspetto incontestabile) ma non indicano necessariamente una linea di tendenza continuativa.

 

Quello che sappiamo è che, in corrispondenza con un evento esterno imprevedibile e di difficile gestione – la pandemia – si è registrata una riduzione marcata e diffusa delle vendite.

Secondo aspetto: è la natura stessa della pandemia a rendere questo calo più circoscrivibile rispetto a quello prospettato – per esempio – da una crisi economica. E gli sviluppi attuali lo dimostrano.

 

Nel caso di una crisi economica, il termine è molto meno prevedibile e più aleatorio rispetto a quello (incerto ma comunque più circoscrivibile) rappresentato da una pandemia.

Un aspetto che dovrebbe farci ben sperare. Last but not least, i dati ci dicono anche qualcos’altro: ci suggeriscono, cioè, quali sono i migliori Paesi su cui puntare.

 

Semplificando la panoramica, tra i mercati extraeuropei si evince la prevalenza degli Stati Uniti; tra i mercati europei, è invece evidente la preminenza della Germania che spesso e volentieri si attesta al secondo o terzo posto delle vendite mondiali.

 

Intorno a questi due poli, ruotano poi altri mercati emergenti (come la Cina, la Polonia o il Messico) che intervengono però in modo più circoscritto a determinati settori e meno prevedibile per quanto riguarda i possibili sviluppi.

Detto ciò, andiamo al nocciolo della questione: per un produttore di macchine utensili, sulla base di quali criteri è meglio scegliere il mercato su cui esportare?

 

Come scegliere il mercato “giusto”? Consigli preliminari

Domanda da un milione di dollari (ma anche di più). La scelta del mercato verso cui orientare l’esportazione delle proprie macchine utensili non può certo essere fatta a cuor leggero soprattutto perché rappresenta un investimento: in termini di tempo e anche di risorse.

 

Cosa che oggi, dopo il crollo dell’export innescato dalla pandemia, acquisisce un’importanza ancora maggiore. In questo senso, in effetti, i dati che abbiamo visto sopra possono tornarci utili perché rappresentano un monito.

 

È in questa prospettiva che vanno considerati un po’di consigli preliminari che possono evitare in prima battuta alcuni degli errori in cui è più facile cadere.

 

Innanzitutto, è importante lavorare sull’approccio preliminare ed evitare (cosa che fanno in molti) di scegliere di pancia.

 

La scelta del mercato giusto è una valutazione che va fatta di testa e con lucidità, lasciando da parte i fattori emotivi.

 

Soprattutto, è importante che sia una scelta “fondata” e basata su ragioni solide e dimostrabili: motivo per cui è sempre meglio prendere con le pinze le cosiddette voci e i consigli che ci arrivano per vie traverse.

Non nell’ottica di cestinarli a priori, ma con l’idea di soppesarli e analizzarli scientificamente, alla luce dei pro e dei contro.

Secondo consiglio preliminare: evitare di concentrarsi su più obiettivi (altro errore che fanno in molti). Scegliere un mercato è questione di mira e non si può mirare a due o più bersagli contemporaneamente. Si rischia, in questo caso, di mancare qualsiasi obiettivo e di sprecare risorse economiche.

 

Il punto non è rinunciare in toto all’idea di espandersi su più mercati, ma di andare per gradi, partendo dal mercato più vicino e più logicamente (e facilmente) abbordabile per passare poi ai successivi. Considerare i mercati più vicini è inoltre la scelta migliore anche nell’ottica di ottimizzare le risorse: la distanza è infatti un moltiplicatore di costi.

 

 

I principali criteri di valutazione

E ora, una volta evitati i principali errori preliminari, vediamo quali altri aspetti devono essere obbligatoriamente tenuti in considerazione. Un buon punto di partenza consiste nel prendere in considerazione il contesto in cui andremo a inserirci.

 

Non si può scegliere un mercato senza sapere come si inserisce quel mercato nel contesto dell’export di macchine utensili in generale e – più nello specifico – nella media dell’export italiano.

Due valutazioni che è possibile fare, numeri alla mano, alla luce dei dati Istat.

 

Più nello specifico, in questo senso può esserci d’aiuto la sezione  COEWEB un sistema informativo espressamente dedicato alle statistiche del commercio con l’estero (aggiornate mensilmente) che offrono una panoramica approfondita sui flussi commerciali dell’Italia con il resto del mondo.

Questi primi due criteri selettivi possono aiutarci a operare una scrematura preliminare e a ridurre sensibilmente il campo delle possibilità.

Su queste basi, potremo poi compiere un’ulteriore selezione basata su altri criteri che ci aiuteranno a restringere ulteriormente campo. Va infatti presa in considerazione la presenza o meno di dazi doganali, valutando quanto questi potranno incidere sui costi (eh sì, “vendere costa” come non mi stanco mai di ripetere).

 

Bisogna tenere conto della posizione geografica e della raggiungibilità del mercato di destinazione: un aspetto che a volte viene sottovalutato, complice l’affermarsi dell’online come alternativa all’offline. Il potenziamento della comunicazione online, che sicuramente ha visto una forte impennata con la pandemia, è un dato di fatto.

 

Tuttavia, paradossalmente, il suo incremento non solo non esclude il valore dell’offline ma lo potenzia. Poter incontrare il cliente dal vivo rappresenterà sempre di più un valore aggiunto e in questo senso la posizione geografica di un Paese e la sua raggiungibilità giocano un ruolo cruciale.

 

Anche la stabilità politico-economica del mercato scelto ha un’importanza di primo piano perché eventuali colpi di scena potrebbero mandare all’aria bruscamente tutti i tuoi piani.

 

Altro elemento da considerare è la messa a fuoco della concorrenza italiana con cui ti troveresti a interagire: chi sarebbero i tuoi potenziali competitor? Qual è il loro grado di radicamento sul territorio? Hai o potresti sviluppare gli strumenti necessari per affrontarli da pari a pari?

In questa prospettiva – nell’ottica, cioè, di dotarti di tutti i mezzi necessari – come è messa la tua azienda sul piano della comunicazione? Hai le risorse necessarie per presentarti al meglio? Disponi di un professionista capace di parlare la lingua dei tuoi potenziali interlocutori?

 

Ho riportato in modo molto sintetico (e senza nessuna pretesa di essere esaustivo) i principali elementi utili a scegliere il mercato di esportazione migliore per un’azienda produttrice di macchine utensili.

 

Ognuno di questi aspetti è in realtà solo la punta dell’iceberg di una rete di valutazioni che vanno affrontate in modo scientifico e soprattutto sulla base di un metodo che renda ogni risultato analizzabile e valutabile secondo criteri certi. Nel mondo dell’export, la fortuna conta poco.

O meglio: la fortuna si costruisce ed è alla portata di chiunque la ricerchi con i giusti strumenti.

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Export Germania

 

Dentro troverai tutte le indicazioni per iniziare a vendere in Germania.

 

Oppure contattami.

 

A presto!

 

Francesco

 

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Export Germania: ecco gli errori più comuni

Export in Germania: attento a non passare per il “solito italiano”

 

 

Export in Germania? No: i tedeschi odiano gli italiani”: un cliché duro a morire. Eppure, una parte di verità c’è. Per esempio…

 

 

Nel mondo dell’export, non è vero che in Germania odiano gli italiani. Anzi, vuoi sapere una cosa? Tendenzialmente ci amano. Lo dice la storia dell’export estero tra l’Italia e gli altri Paesi, che ci vede come partner privilegiato dei tedeschi da secoli. E lo dico anch’io nel mio libro, fresco fresco di stampa. Il mercato tedesco è il principale partner commerciale del nostro Paese sia come mercato di sbocco dell’export italiano, sia come Paese di provenienza dell’import in Italia. Quello tra Italia e Germania, è quindi un legame di interscambio bilaterale (128 miliardi circa nel 2018) di vecchia data. Più che solido, quindi.

 

Eppure, è vero che alcuni luoghi comuni negativi ci sono ed è facile incapparci se non conosci il mercato tedesco. Per questo ho deciso di darti un piccolo assaggio di ciò che racconto tra un capitolo e l’altro del mio libro. Eccoti una lista di 8 errori che non puoi permetterti di fare quando vendi in Germania.

 

 

Gli 8 errori che ti faranno passare per il “solito italiano” quando fai export in Germania

 

Diciamocelo, alcuni luoghi comuni persistono per il semplice fatto che sono veri. Quando fai export in Germania, ci sono alcuni errori di base che devi evitare come la peste. Te li elenco di seguito perché tu possa giocare d’anticipo.

 

1- Alzare i costi a dismisura “perché tanto in Germania i prezzi sono più alti che da noi”

Un misunterstanding che si basa su chiavi di lettura vecchie di almeno 20 anni. È vero, prima dell’euro il divario di prezzi tra Germania e Italia era piuttosto marcato. Oggi, però, le cose sono cambiate di molto. Evita quindi di passare per il solito italiano truffaldino.

 

2- Attento al giochino del “tanto poi ti faccio lo sconto”

Tornando al primo punto, idem per quanto riguarda la politica degli sconti. Proporre al cliente un prezzo troppo alto, strizzandogli l’occhio e offrendogli uno sconto del 20% non funzionerà. Tieni sempre presente una cosa: gli Uffici Acquisti tedeschi la sanno lunga. Sul tema degli sconti, peraltro, potremmo aprire una parentesi chilometrica. Gli sconti sono uno strumento di trattativa commerciale di cui è bene non abusare in modo indifferenziato. Almeno sul mercato tedesco. All’interno di determinati contesti culturali, mercanteggiare è d’obbligo. Fa proprio parte della cultura d’acquisto. La Germania, però, è lontana anni luce da questa prospettiva.

 

3 – Fare consegne “alla cinese”

Quando si tratta di export in Germania, sull’operatività i tedeschi sono particolarmente intransigenti. Quando riesci a convertire un contatto in cliente e fai le prime consegne, stai attento a non bruciarti il futuro già dall’inizio. Soprattutto, non “sederti”. Ribaltando la prospettiva, è a partire dalle prime consegne che un cliente inizierà a valutarti. In Germania come altrove, ma diciamo che su questo punto i tedeschi ci tengono particolarmente all’operatività. Ecco perché fare consegne “alla cinese” con un primo invio inappuntabile e gli invii successivi fatti un tanto al tocco, è il modo migliore per tirarti la zappa sui piedi da solo. Un certificato mancante, una svista, un ritardo possono davvero fare la differenza.

 

4- Puntare esclusivamente sul concetto di Made in Italy

È vero, il Made in Italy fa particolarmente presa su un cliente tedesco… solo, però, se sotto c’è realmente sostanza. Utilizzare il concetto del Made in Italy soltanto in chiave di specchietto per le allodole, non funziona.

 

5- Parola chiave: PROCEDURA

Fra gli errori, ce ne sono anche alcuni che derivano dalla propensione a non seguire la corretta procedura prevista dall’ordine. Poco male, se sei in Italia e hai a che fare con clienti italiani. Quando fai export, invece, c’è una cosa che devi sempre tenere presente: la cultura d’acquisto del luogo. In Germania, per esempio, i clienti non amano affatto le sorprese. Ti faccio un esempio. Se tu ordini 5000 pezzi, potrà capitare che in produzione ne vengano fuori 4995 o magari una ventina in più. In Italia, quando succede, l’ordine viene inviato senza dire nulla. In Germania, invece, la discrepanza dal numero richiesto, va dichiarata esplicitamente. Anche quando invii un ordine eccedente.

 

6- Altra parola chiave: ORDINE

Il tuo cliente tedesco viene a farti visita? Attenzione ad accoglierlo come si deve. No, la cena al ristorante tipico italiano non basta: ai tedeschi interessa la sostanza. Quando ricevi la visita di un cliente tedesco, fai in modo che il tuo luogo di lavoro e la tua officina meccanica siano in perfetto ordine. Questo farà un’ottima impressione e ti eviterà un sacco di grattacapi nelle fasi successive.

 

7- Non sottovalutare i contratti

Soprattutto, leggine ogni minima postilla. Il tuo cliente (stai pur tranquillo) ne chiederà il rispetto nei minimi particolari

 

8- Attenzione alla lingua!

Se il tuo sito è solo in italiano, corri subito ai ripari. Devi obbligatoriamente avere un sito internet tradotto in inglese o in tedesco. Idem per quanto riguarda brochures e materiale informativo stampato, offerte, conferme d’ordine e documenti. In questo caso, però, l’inglese spesso non basta. Non tutti i clienti tedeschi parlano inglese: sarà quindi necessario far tradurre questi materiali in tedesco. E in BUON tedesco (no: Google Translate non basta!)

 

Se vuoi saperne di più,  ordina il mio libro!

 

 

Export Germania

 

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A presto!

 

Francesco

 

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Azione condivisa
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Internazionalizzazione: un’azione condivisa

Internazionalizzazione: perché è importante che in azienda tutti siano d’accordo

 

Internazionalizzazione? Per farlo, ci vuole un lavoro di squadra 

 

Quando sei un’azienda e decidi di puntare sull’internazionalizzazione, c’è un aspetto che è importante mettere a fuoco subito. Aprirsi ai mercati esteri non è un semplice progetto. Si tratta, piuttosto, di una trasformazione strutturale che andrà a coinvolgere l’azienda nella sua totalità.

 

Per dirla in altri termini, non è come farsi fare un vestito nuovo. Non è sufficiente chiamare il sarto (fuor di metafora: affidare la patata bollente a un esterno), dargli qualche indicazione, passargli le tue misure e basta. Perché un processo di internazionalizzazione produca risultati soddisfacenti, è importante che tu – azienda – sia disponibile a impostare un vero e proprio lavoro di squadra. Una trasformazione diffusa e condivisa. E proprio per questo è importante che ci sia accordo sul fatto di portarla avanti.

 

 

I problemi dell’internazionalizzazione (quando non si chiariscono le cose subito)

 

Il figlio spinge per aprire l’azienda ai mercati esteri ma il padre non è d’accordo. Un fratello crede nell’internazionalizzazione e l’altro no. Capita spesso, soprattutto nelle imprese familiari : si avvia un processo ma non tutti sono d’accordo nel portarlo avanti. E questo può essere un grosso problema.

 

Non credere a chi minimizza, dicendoti che in fondo è il commerciale che si occuperà di portare avanti il processo. È un po’ come quando si acquista un macchinario che sarà importante per gli sviluppi dell’attività. Una spesa di questo tipo dovrà essere giocoforza approvata da tutte le componenti decisionali di un’azienda. Questo vale, a maggior ragione, per un processo come l’internazionalizzazione.

 

Per presentarsi in modo competitivo ai mercati esteri, un’azienda dovrà per forza cambiare alcuni aspetti. Questo vuol dire che, in un certo senso, dovrà crescere: l’apertura a un nuovo mercato non è un processo che va avanti a scatola chiusa. In casi come questo è davvero l’unione che fa la forza.

 

 

Cosa può succedere se non sono d’accordo tutte le componenti decisionali?

 

D’altra parte, se non c’è accordo in partenza, purtroppo prima o poi i nodi verranno al pettine. Portare avanti un processo di internazionalizzazione senza accordo, è come camminare sulle uova. Basta poco perché l’equilibrio si rompa.

 

Ogni processo ha i suoi, strutturali, momenti difficili. Quando ci si apre a un mercato estero, per esempio, i risultati possono non essere così immediati . In questo senso, ovviamente conterà molto la serietà della persona a cui ti affiderai. Come ti dicevo, diffida da chi “la fa troppo facile”. Non credere a chi ti promette mari e monti in tempi brevi.

 

Quando si incappa nel classico momento difficile, i problemi iniziano a venire a galla. È allora che la parte non consenziente rischia di mettersi di traverso e fare esplicitamente opposizione. Se le componenti decisionali di un’azienda non sono d’accordo, quindi, il processo di internazionalizzazione rischia di subire una battuta d’arresto. O addirittura di abortire, con relativo spreco di tempo e denaro.

 

Meglio correre ai ripari prima. Aprirsi ai mercati esteri è come salire su un treno per intraprendere un viaggio a largo raggio. È importante, quindi, che nessuno rimanga a terra.

 

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A presto

 

Francesco

 

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risparmiare costi
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Risparmiare costi commerciali

Ecco i costi che NON devi tagliare se sei un’azienda che vuole risparmiare

 

Risparmiare è cosa buona e giusta, tagliare i costi superflui pure.

Ma come farlo senza tirarsi la zappa sui piedi?

 

Costi superflui e investimenti: qual è la differenza?

 

“Risparmiare”, “tagliare i costi”… queste e altre espressioni simili, ultimamente stanno diventando un mantra per molte aziende. Il perché è più che comprensibile. Inutile che stiamo a girarci tanto intorno: causa pandemia, l’economia mondiale attraversa senza dubbio un momento difficile. Normale, quindi, che un’azienda pensi a come ottimizzare le proprie risorse. Il punto, però, è come farlo.

 

Alcune aziende, per cercare di ridurre all’osso le loro spese, decidono di tagliare sul commerciale. Le ragioni si possono riassumere pressappoco così: “Taglio dove posso, cioè sui costi non immediatamente necessari”. Una motivazione più che comprensibile, che però – se interpretata in modo sbagliata – rischia di innescare un immediato effetto hara-kiri. Vediamo perché.

 

Il punto sta tutto nelle parole ed è da lì che dobbiamo partire. Cosa significa davvero risparmiare? Per molti, risparmiare vuol dire semplicemente “spendere di meno”. Il significato “utile” in termini economici, di questa parola è però un altro. A un’azienda, infatti, non serve spendere ma poco ma ottimizzare le proprie risorse. Ottimizzare vuol dire portare a una condizione o a un risultato che siano i migliori possibili. Il che non significa spendere poco ma saper distinguere ciò che è superfluo da ciò che non lo è.

 

Cioè tagliare i costi inutili e contemporaneamente puntare sugli investimenti.

 

La differenza tra un costo inutile e un investimento è semplice. Il costo inutile è un’emorragia di risorse che escono senza portare nulla in cambio. Al contrario, un investimento è un’uscita che però nell’arco di un orizzonte temporale a breve o medio termine, porterà dei vantaggi. Un’uscita, quindi, che è funzionale a un futuro incremento delle entrate. È il caso degli investimenti sul commerciale.

 

 

Perché non ti conviene tagliare sul commerciale?

 

Un’azienda che per risparmiare decide di tagliare i costi sul commerciale, è un po’ come un tennista che per risparmiare sulle magliette a maniche lunghe, decide di tagliarsi le braccia.

 

Il commerciale, per un’azienda, è come la rampa di lancio senza cui il decollo diventa impossibile. E non avere una rampa di lancio, per un razzo è un po’ come – per un tennista – non avere le braccia.

 

Come dicevo, la pandemia ci sta ponendo delle sfide enormi. È fuor di dubbio: il momento che stiamo attraversando è (e sarà) difficile per qualsiasi realtà economica. Ma è proprio questo, paradossalmente, che oggi rende ancora più importante la figura del commerciale. Soprattutto per quanto riguarda un settore come l’export.

 

Al di là delle chiusure circostanziali, continuiamo infatti a vivere sullo sfondo di un mercato globale. Le stesse difficoltà dei singoli Stati, inoltre, rendono più che mai necessario il fatto di poter “guardare altrove”. Cioè di poter scandagliare l’orizzonte di opportunità disponibili anche a lungo raggio.

 

Un commerciale, oggi e domani, può consentire all’azienda di:

 

1) valutare con cognizione di causa le reali condizioni dei mercati esteri (condizioni che in parte, la pandemia ha sensibilmente cambiato)

 

2) valutare sia le nuove opportunità sia i nuovi rischi esistenti

 

3) individuare i potenziali clienti a cui è meglio rivolgersi oggi, all’interno di una rosa di possibilità che non è la stessa di un anno fa

 

4) considerare il reale stato di salute – a breve e medio raggio – dei clienti a cui rivolgersi (evitando di incappare in potenziali insolvenze)

 

5) aiutare l’azienda a mettere a punto un’offerta commerciale realmente competitiva, che punti cioè sulle reali esigenze di un mercato mutato

 

7) supportare l’azienda in una sfida che oggi e domani sarà ancora più ardua di ieri. Cioè: essere competitivi senza cadere nella trappola dei costi al ribasso.

 

Riassumendo: risparmiare tagliando i costi superflui è possibile. E in questo senso, il commerciale può essere il tuo miglior alleato. Purché, ovviamente, si tratti di un buon commerciale. Quali sono gli elementi in grado di fare la differenza? Come puoi fare per distinguere un buon commerciale da una figura che rappresenta solo un costo superfluo? Ne parleremo nei prossimi articoli!

Nel frattempo se vuoi approfondire le possibilità che offre questo mercato, richiedi il kit gratuito Vendere in Germania, per iniziare il percorso di vendita dei tuoi prodotti in Germania.

 

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A presto

 

Francesco

 

www.vendereingermania.it

 

 

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