6 conseguenze della pandemia utili per chi si occupa di export
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6 conseguenze della pandemia utili per chi si occupa di export

6 conseguenze della pandemia utili per chi si occupa di export

Febbraio è tempo di anniversari. Da una parte, tra una settimana ricorrerà un anno dall’inizio della guerra in Ucraina (di cui, per quanto riguarda l’impatto sull’export, (ti ho parlato nel mio ultimo articolo), dall’altra alla fine di questo mese saranno trascorsi tre anni da quel disastroso febbraio-marzo 2020 in cui la pandemia da Covid è entrata nelle nostre vite.

Oggi viaggiamo sicuramente in acque migliori, per quanto riguarda la pandemia, e possiamo approfittarne per tirare un sospiro di sollievo e fare un po’di bilanci. Al netto del dramma umano, degli strascichi e delle innumerevoli difficoltà che il Covid ha portato con sé, ci sono però alcune cose che possiamo “portarci a casa” dal periodo pandemico e che è utilissimo mettere a fuoco per chi si occupa di export. 

 

Export: tutto quello che ci ha “portato” la pandemia e che può aiutare chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa a lavorare meglio

  • MAGGIOR DISPONIBILITA’ DI STRUMENTI PER LAVORARE ONLINE

Se, prima del Covid, la maggior parte delle riunioni da remoto veniva fatta via Skype (o tramite piattaforme aziendali specifiche) la pandemia ha stimolato – o in certi casi, sdoganato – lo sviluppo di piattaforme aggiuntive, in parte nuove e in parte – nel caso di quelle già esistenti – dotate di strumenti in più.

  • ALFABETIZZAZIONE ALL’USO DEGLI STRUMENTI ONLINE

Chi lavora nel mondo dell’export lo sa benissimo: interfacciarsi con clienti che sappiano utilizzare gli strumenti online è tutto meno che scontato. O meglio, lo era prima della pandemia. Volenti o nolenti, molti tra i più refrattari hanno dovuto adeguarsi e mettersi di buzzo buono a familiarizzare con la rete e con gli strumenti necessari a comunicare da remoto. I lockdown lo hanno reso necessario, non solo per poter continuare a lavorare ma per ragioni di semplice sopravvivenza psicologica: per poter continuare, cioè, a interagire con gli altri.

  • PIU’POSSIBILITA’PER FARE NURTURING CON I PROPRI CONTATTI CONTRIBUENDO A TRASFORMARLI IN CLIENTI

Dalla pandemia in poi, anche grazie alla disponibilità delle nuove piattaforme, il numero delle videocall e delle riunioni online è aumentato in modo esponenziale, sia sul fronte personale sia sul lavoro. Poter fare più videocall (“mettendoci la faccia” anziché utilizzando solo la comunicazione via mail) è uno strumento utilissimo per coltivare e rinsaldare i rapporti con i propri contatti facendo quello che in gergo si chiama lead nurturing. Nutrire i propri contatti con contenuti utili alla loro crescita e finalizzati a creare un rapporto di fiducia che li trasformi in clienti: questo è un aspetto importassimo per chi si occupa di export, un fattore che viene tradizionalmente portato avanti attraverso le newsletter ma che ora può essere integrato con ulteriori strumenti.

  • … E PIU’POSSIBILITA’ PER FIDELIZZARE CHI E’GIA TUO CLIENTE, CONSOLIDANDO IL RAPPORTO CON LUI

Idem come sopra, ma per quanto riguarda coloro che sono già tuoi clienti.

  • PIU’POSSIBILITA’DI DIFFERENZIARSI DAI PROPRI COMPETITOR, BILANCIANDO L’UTILIZZO DI ONLINE E OFFLINE

Ebbene sì, l’aumento dei canali e delle comunicazioni online da una parte rappresenta un plus che va sfruttato al meglio, dall’altra costituisce un aspetto che va obbligatoriamente bilanciato. In un mondo in cui, ormai, quasi tutti – a volte anche per pigrizia o per risparmiare tempo e denaro – tendono a centellinare le riunioni dal vivo, proporre a un cliente un incontro in carne e ossa o fare un viaggio dal vivo, quando è il caso, può davvero aiutarti a fare la differenza rispetto ai tuoi competitor. Se vuoi approfondire, ne ho parlato in questo articolo

  • UNA CONFERMA SULLA TENUTA DI ALCUNI MERCATI

Last but not least, la lunga crisi innescata dalla pandemia ci ha anche dato un’ulteriore conferma sull’effettiva tenuta o meno dei mercati esteri. In questo senso, il mercato tedesco – per esempio – ha mostrato ancora una volta la sua solidità confermando di essere un interlocutore ideale per chi si occupa di export.

 

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Cosa ha insegnato la guerra in Ucraina a chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa

Cosa ha insegnato la guerra in Ucraina a chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa

Alla fine di questo mese sarà trascorso un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. Un conflitto che è scoppiato praticamente dietro l’angolo di casa e che ha profondamente – anche se in modo indiretto – modificato le nostre vite e la nostra percezione della guerra. Se fino a poco tempo fa pensavamo di essere nella classica “botte di ferro” e ci sentivamo tutto sommato sicuri, nel nostro caro Vecchio Continente, oggi ci sentiamo sicuramente più fragili e spaventati.

Al di là dell’impatto psicologico, però, la guerra in Ucraina ha avuto anche un’altra incidenza come ben sa chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa. Parlare di export, oggi, significa anche parlarne alla luce del conflitto russo-ucraino. Cosa può imparare dalla situazione in corso chi si occupa di export?

 

Se ti occupi di internazionalizzazione d’impresa, devi tener d’occhio la geopolitica

Ebbene sì, con la geopolitica non si scherza. Soprattutto se si opera nel mondo dell’export. Gli equilibri geopolitici sono sempre dei rapporti fragili ma non per questo imprevedibili. La guerra in Ucraina ci ha colpiti in modo profondo ma non possiamo dire, con questo, che si sia trattato di un fulmine a ciel sereno. Che la situazione fosse critica, lo sapevamo da anni e se è vero che nessuno di noi ha la sfera di cristallo e che lo scoppio del conflitto non si poteva prevedere, è anche vero che chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa aveva tutti gli elementi per prendere atto della fragilità della situazione.

Cosa significa questo? Non mi stancherò mai di dirlo e l’ho ribadito anche nel mio libro: quando si sceglie un mercato su cui fare export, bisogna valutare un ampio ventaglio di fattori. Chi, negli ultimi anni, ha deciso di puntare solo la Russia, ha scelto un mercato ricco, promettente ma – ahimè – fragile e rischioso dal punto di vista politico. E oggi si ritrova a gestire una situazione di enorme complessità. 

La buona notizia è che – almeno in una certa misura – tutelarsi da situazioni simili è possibile. Ecco come.

 

Le 2 regole d’oro per scegliere dove (e come) fare export tutelandosi da brutte sorprese

Se ti occupi di internazionalizzazione d’imprese e vuoi scegliere i mercati a cui rivolgerti tutelandoti da brutte sorprese, sono due le regole d’oro che devi tenere in considerazione.

La prima è: scegli i tuoi mercati in base a criteri di selezione multifattoriali. Il fatto che un mercato sia florido, dinamico e ricettivo è senz’altro un fattore positivo ma questi elementi devono essere messi sul piatto della bilancia insieme ad altri fattori altrettanto importanti. Se un mercato è economicamente promettente ma politicamente fragile, purtroppo saranno da mettere in conto colpi di scena che potrebbero influire in modo radicale anche sul piano economico. 

Seconda regola d’oro: attenzione a puntare su un unico mercato ma attenzione alla scelta opposta (strafare non premia). Come sostengo sempre, quando si decide di aprirsi a nuovi mercati è bene farlo in modo prudente, passo dopo passo. Il primo mercato su cui consiglio sempre di puntare per fare internazionalizzazione d’impresa, è meglio che sia un mercato solido e sicuro. Come quello tedesco, per esempio. Se inizierai da un mercato apparentemente più promettente ma politicamente più fragile, rischierai solo di costruire un elefante dai piedi d’argilla. 

Solo dopo aver puntato e aver fatto crescere il tuo export su un mercato sicuro, potrai rivolgerti a mercati più rischiosi sentendoti comunque abbastanza sicuro. Se, viceversa, hai iniziato aprendoti a un mercato rischioso, ti consiglio invece di evitare di puntare tutto su un’unica carta e di aprirti anche – parallelamente – a una seconda scelta, selezionando un mercato più solido. 

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