Macchine Utensili
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Macchine Utensili: focus sul settore

Macchine utensili: come scegliere il mercato su cui esportare?

Il 2020 e questa prima parte del 2021 hanno rappresentato una sfida non da poco per tutti i produttori di Macchine Utensili.

 

Senza dubbio la pandemia ha inciso su ogni settore: com’era ovvio e prevedibile che fosse, anche sul commercio di macchine utensili. È quanto si evince dai dati, che evidenziano però un panorama tutt’altro che immobile e sicuramente non in total black.

Se infatti il divario tra 2019 e 2020 è palese, nei primi mesi del 2021 la tendenza sembra invertirsi e mostra una situazione in evoluzione. Cosa che, ovviamente, rende il panorama molto più complesso ma anche molto più interessante.

 

I numeri dell’export

Piccola, doverosa premessa. Di numeri, nell’ultimo anno, ne abbiamo visti fin troppi. Nella maggior parte dei casi, però, la disponibilità di dati non ci ha aiutati ad avere le idee più chiare. I numeri servono, sì, ma dati a cascata (senza nessun criterio selettivo) non hanno nessuna utilità.

Questo anche per quanto riguarda i dati relativi all’export. Le percentuali che mettono in luce il divario rispetto agli anni precedenti vanno quindi considerate obbligatoriamente cum grano salis. Il perché, lo vedremo dopo.

 

Ma veniamo ai dati: come è cambiato l’export italiano di macchine utensili con la pandemia? E quali sono i principali Paesi verso cui si è orientato?

 

Nel primo trimestre del 2021 ricominciano a crescere gli ordini di macchine utensili dei costruttori italiani. In particolare, l’UCIMU, segnala nei primi tre mesi dell’anno, un incremento del 48,6% rispetto allo stesso periodo del 2020.

 

L’incremento, al momento, risulta più significativo sul mercato italiano, in realtà anche grazie agli incentivi agli investimenti in nuove tecnologie di produzione previsti dal Piano Transizione 4.0

 

Sui mercati esteri, gli ordini sono cresciuti del 30,5% rispetto al periodo gennaio-marzo 2020.

È importante però fare dei distinguo perché mentre Cina e USA si segnalano per un’attività particolarmente dinamica, il vecchio Continente sembra un po’ in ritardo e mostra solamente adesso i primi segnali di forte ripresa.

 

Tutti dati che fanno ben sperare e che hanno trovato riscontro nell’incremento di ordini che molti produttori di macchine utensili stanno registrando in questi mesi. Il clima generale, attualmente, è di cauto ottimismo.

Non è però tutto oro quello che luccica, infatti questi dati sono confrontati con il 2020 anno in cui, nella prima parte gli ordinativi sono crollati.

Se prendiamo tuttavia come termine di confronto la cesura rappresentata dalla pandemia (e quindi la differenza tra il 2019 e i primi due mesi del 2021), i numeri mettono in evidenza una prevedibile battuta d’arresto. In questo senso, secondo i dati Istat, le esportazioni totali hanno segnato un 15,7% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, per un valore totale di 366 milioni di euro.

 

Tra i Paesi verso cui si sono orientate le esportazioni, gli Stati Uniti sono stati il primo mercato di sbocco con 36,4 milioni; al secondo posto, la Germania, con 35,4 milioni (-19,2%) seguita a ruota dalla Cina (28,8 milioni) e poi (dopo la Francia) da due mercati in crescita: Polonia, e Russia.

Buone, le vendite in Messico (dove si è registrato un +57,9%) e – contrariamente a quanto si potrebbe desumere dalla Brexit in corso – nel Regno Unito (+130,4%).

 

Dietro alle quinte: cosa ci dicono davvero i dati

Alla luce della differenza tra il 2020 e gli esordi del 2021, come vanno considerati questi dati? E soprattutto, come devono/possono essere usati per mettere a fuoco una strategia reattiva che permetta a un’azienda produttrice di macchine utensili di far decollare nuovamente le proprie vendite?

 

Certo, le cifre in negativo del 2020 e la situazione non ancora risolta sul fronte pandemico invitano alla cautela.

Eppure, la situazione attuale mostra come le cose stiano già cambiando.

E come la portata negativa dei numeri del 2020 vada circoscritta. Punto primo: i dati ci dicono che nel 2020 c’è stata una riduzione delle vendite (aspetto incontestabile) ma non indicano necessariamente una linea di tendenza continuativa.

 

Quello che sappiamo è che, in corrispondenza con un evento esterno imprevedibile e di difficile gestione – la pandemia – si è registrata una riduzione marcata e diffusa delle vendite.

Secondo aspetto: è la natura stessa della pandemia a rendere questo calo più circoscrivibile rispetto a quello prospettato – per esempio – da una crisi economica. E gli sviluppi attuali lo dimostrano.

 

Nel caso di una crisi economica, il termine è molto meno prevedibile e più aleatorio rispetto a quello (incerto ma comunque più circoscrivibile) rappresentato da una pandemia.

Un aspetto che dovrebbe farci ben sperare. Last but not least, i dati ci dicono anche qualcos’altro: ci suggeriscono, cioè, quali sono i migliori Paesi su cui puntare.

 

Semplificando la panoramica, tra i mercati extraeuropei si evince la prevalenza degli Stati Uniti; tra i mercati europei, è invece evidente la preminenza della Germania che spesso e volentieri si attesta al secondo o terzo posto delle vendite mondiali.

 

Intorno a questi due poli, ruotano poi altri mercati emergenti (come la Cina, la Polonia o il Messico) che intervengono però in modo più circoscritto a determinati settori e meno prevedibile per quanto riguarda i possibili sviluppi.

Detto ciò, andiamo al nocciolo della questione: per un produttore di macchine utensili, sulla base di quali criteri è meglio scegliere il mercato su cui esportare?

 

Come scegliere il mercato “giusto”? Consigli preliminari

Domanda da un milione di dollari (ma anche di più). La scelta del mercato verso cui orientare l’esportazione delle proprie macchine utensili non può certo essere fatta a cuor leggero soprattutto perché rappresenta un investimento: in termini di tempo e anche di risorse.

 

Cosa che oggi, dopo il crollo dell’export innescato dalla pandemia, acquisisce un’importanza ancora maggiore. In questo senso, in effetti, i dati che abbiamo visto sopra possono tornarci utili perché rappresentano un monito.

 

È in questa prospettiva che vanno considerati un po’di consigli preliminari che possono evitare in prima battuta alcuni degli errori in cui è più facile cadere.

 

Innanzitutto, è importante lavorare sull’approccio preliminare ed evitare (cosa che fanno in molti) di scegliere di pancia.

 

La scelta del mercato giusto è una valutazione che va fatta di testa e con lucidità, lasciando da parte i fattori emotivi.

 

Soprattutto, è importante che sia una scelta “fondata” e basata su ragioni solide e dimostrabili: motivo per cui è sempre meglio prendere con le pinze le cosiddette voci e i consigli che ci arrivano per vie traverse.

Non nell’ottica di cestinarli a priori, ma con l’idea di soppesarli e analizzarli scientificamente, alla luce dei pro e dei contro.

Secondo consiglio preliminare: evitare di concentrarsi su più obiettivi (altro errore che fanno in molti). Scegliere un mercato è questione di mira e non si può mirare a due o più bersagli contemporaneamente. Si rischia, in questo caso, di mancare qualsiasi obiettivo e di sprecare risorse economiche.

 

Il punto non è rinunciare in toto all’idea di espandersi su più mercati, ma di andare per gradi, partendo dal mercato più vicino e più logicamente (e facilmente) abbordabile per passare poi ai successivi. Considerare i mercati più vicini è inoltre la scelta migliore anche nell’ottica di ottimizzare le risorse: la distanza è infatti un moltiplicatore di costi.

 

 

I principali criteri di valutazione

E ora, una volta evitati i principali errori preliminari, vediamo quali altri aspetti devono essere obbligatoriamente tenuti in considerazione. Un buon punto di partenza consiste nel prendere in considerazione il contesto in cui andremo a inserirci.

 

Non si può scegliere un mercato senza sapere come si inserisce quel mercato nel contesto dell’export di macchine utensili in generale e – più nello specifico – nella media dell’export italiano.

Due valutazioni che è possibile fare, numeri alla mano, alla luce dei dati Istat.

 

Più nello specifico, in questo senso può esserci d’aiuto la sezione  COEWEB un sistema informativo espressamente dedicato alle statistiche del commercio con l’estero (aggiornate mensilmente) che offrono una panoramica approfondita sui flussi commerciali dell’Italia con il resto del mondo.

Questi primi due criteri selettivi possono aiutarci a operare una scrematura preliminare e a ridurre sensibilmente il campo delle possibilità.

Su queste basi, potremo poi compiere un’ulteriore selezione basata su altri criteri che ci aiuteranno a restringere ulteriormente campo. Va infatti presa in considerazione la presenza o meno di dazi doganali, valutando quanto questi potranno incidere sui costi (eh sì, “vendere costa” come non mi stanco mai di ripetere).

 

Bisogna tenere conto della posizione geografica e della raggiungibilità del mercato di destinazione: un aspetto che a volte viene sottovalutato, complice l’affermarsi dell’online come alternativa all’offline. Il potenziamento della comunicazione online, che sicuramente ha visto una forte impennata con la pandemia, è un dato di fatto.

 

Tuttavia, paradossalmente, il suo incremento non solo non esclude il valore dell’offline ma lo potenzia. Poter incontrare il cliente dal vivo rappresenterà sempre di più un valore aggiunto e in questo senso la posizione geografica di un Paese e la sua raggiungibilità giocano un ruolo cruciale.

 

Anche la stabilità politico-economica del mercato scelto ha un’importanza di primo piano perché eventuali colpi di scena potrebbero mandare all’aria bruscamente tutti i tuoi piani.

 

Altro elemento da considerare è la messa a fuoco della concorrenza italiana con cui ti troveresti a interagire: chi sarebbero i tuoi potenziali competitor? Qual è il loro grado di radicamento sul territorio? Hai o potresti sviluppare gli strumenti necessari per affrontarli da pari a pari?

In questa prospettiva – nell’ottica, cioè, di dotarti di tutti i mezzi necessari – come è messa la tua azienda sul piano della comunicazione? Hai le risorse necessarie per presentarti al meglio? Disponi di un professionista capace di parlare la lingua dei tuoi potenziali interlocutori?

 

Ho riportato in modo molto sintetico (e senza nessuna pretesa di essere esaustivo) i principali elementi utili a scegliere il mercato di esportazione migliore per un’azienda produttrice di macchine utensili.

 

Ognuno di questi aspetti è in realtà solo la punta dell’iceberg di una rete di valutazioni che vanno affrontate in modo scientifico e soprattutto sulla base di un metodo che renda ogni risultato analizzabile e valutabile secondo criteri certi. Nel mondo dell’export, la fortuna conta poco.

O meglio: la fortuna si costruisce ed è alla portata di chiunque la ricerchi con i giusti strumenti.

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Export Germania: ecco gli errori più comuni

Export in Germania: attento a non passare per il “solito italiano”

 

 

Export in Germania? No: i tedeschi odiano gli italiani”: un cliché duro a morire. Eppure, una parte di verità c’è. Per esempio…

 

 

Nel mondo dell’export, non è vero che in Germania odiano gli italiani. Anzi, vuoi sapere una cosa? Tendenzialmente ci amano. Lo dice la storia dell’export estero tra l’Italia e gli altri Paesi, che ci vede come partner privilegiato dei tedeschi da secoli. E lo dico anch’io nel mio libro, fresco fresco di stampa. Il mercato tedesco è il principale partner commerciale del nostro Paese sia come mercato di sbocco dell’export italiano, sia come Paese di provenienza dell’import in Italia. Quello tra Italia e Germania, è quindi un legame di interscambio bilaterale (128 miliardi circa nel 2018) di vecchia data. Più che solido, quindi.

 

Eppure, è vero che alcuni luoghi comuni negativi ci sono ed è facile incapparci se non conosci il mercato tedesco. Per questo ho deciso di darti un piccolo assaggio di ciò che racconto tra un capitolo e l’altro del mio libro. Eccoti una lista di 8 errori che non puoi permetterti di fare quando vendi in Germania.

 

 

Gli 8 errori che ti faranno passare per il “solito italiano” quando fai export in Germania

 

Diciamocelo, alcuni luoghi comuni persistono per il semplice fatto che sono veri. Quando fai export in Germania, ci sono alcuni errori di base che devi evitare come la peste. Te li elenco di seguito perché tu possa giocare d’anticipo.

 

1- Alzare i costi a dismisura “perché tanto in Germania i prezzi sono più alti che da noi”

Un misunterstanding che si basa su chiavi di lettura vecchie di almeno 20 anni. È vero, prima dell’euro il divario di prezzi tra Germania e Italia era piuttosto marcato. Oggi, però, le cose sono cambiate di molto. Evita quindi di passare per il solito italiano truffaldino.

 

2- Attento al giochino del “tanto poi ti faccio lo sconto”

Tornando al primo punto, idem per quanto riguarda la politica degli sconti. Proporre al cliente un prezzo troppo alto, strizzandogli l’occhio e offrendogli uno sconto del 20% non funzionerà. Tieni sempre presente una cosa: gli Uffici Acquisti tedeschi la sanno lunga. Sul tema degli sconti, peraltro, potremmo aprire una parentesi chilometrica. Gli sconti sono uno strumento di trattativa commerciale di cui è bene non abusare in modo indifferenziato. Almeno sul mercato tedesco. All’interno di determinati contesti culturali, mercanteggiare è d’obbligo. Fa proprio parte della cultura d’acquisto. La Germania, però, è lontana anni luce da questa prospettiva.

 

3 – Fare consegne “alla cinese”

Quando si tratta di export in Germania, sull’operatività i tedeschi sono particolarmente intransigenti. Quando riesci a convertire un contatto in cliente e fai le prime consegne, stai attento a non bruciarti il futuro già dall’inizio. Soprattutto, non “sederti”. Ribaltando la prospettiva, è a partire dalle prime consegne che un cliente inizierà a valutarti. In Germania come altrove, ma diciamo che su questo punto i tedeschi ci tengono particolarmente all’operatività. Ecco perché fare consegne “alla cinese” con un primo invio inappuntabile e gli invii successivi fatti un tanto al tocco, è il modo migliore per tirarti la zappa sui piedi da solo. Un certificato mancante, una svista, un ritardo possono davvero fare la differenza.

 

4- Puntare esclusivamente sul concetto di Made in Italy

È vero, il Made in Italy fa particolarmente presa su un cliente tedesco… solo, però, se sotto c’è realmente sostanza. Utilizzare il concetto del Made in Italy soltanto in chiave di specchietto per le allodole, non funziona.

 

5- Parola chiave: PROCEDURA

Fra gli errori, ce ne sono anche alcuni che derivano dalla propensione a non seguire la corretta procedura prevista dall’ordine. Poco male, se sei in Italia e hai a che fare con clienti italiani. Quando fai export, invece, c’è una cosa che devi sempre tenere presente: la cultura d’acquisto del luogo. In Germania, per esempio, i clienti non amano affatto le sorprese. Ti faccio un esempio. Se tu ordini 5000 pezzi, potrà capitare che in produzione ne vengano fuori 4995 o magari una ventina in più. In Italia, quando succede, l’ordine viene inviato senza dire nulla. In Germania, invece, la discrepanza dal numero richiesto, va dichiarata esplicitamente. Anche quando invii un ordine eccedente.

 

6- Altra parola chiave: ORDINE

Il tuo cliente tedesco viene a farti visita? Attenzione ad accoglierlo come si deve. No, la cena al ristorante tipico italiano non basta: ai tedeschi interessa la sostanza. Quando ricevi la visita di un cliente tedesco, fai in modo che il tuo luogo di lavoro e la tua officina meccanica siano in perfetto ordine. Questo farà un’ottima impressione e ti eviterà un sacco di grattacapi nelle fasi successive.

 

7- Non sottovalutare i contratti

Soprattutto, leggine ogni minima postilla. Il tuo cliente (stai pur tranquillo) ne chiederà il rispetto nei minimi particolari

 

8- Attenzione alla lingua!

Se il tuo sito è solo in italiano, corri subito ai ripari. Devi obbligatoriamente avere un sito internet tradotto in inglese o in tedesco. Idem per quanto riguarda brochures e materiale informativo stampato, offerte, conferme d’ordine e documenti. In questo caso, però, l’inglese spesso non basta. Non tutti i clienti tedeschi parlano inglese: sarà quindi necessario far tradurre questi materiali in tedesco. E in BUON tedesco (no: Google Translate non basta!)

 

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Internazionalizzazione: un’azione condivisa

Internazionalizzazione: perché è importante che in azienda tutti siano d’accordo

 

Internazionalizzazione? Per farlo, ci vuole un lavoro di squadra 

 

Quando sei un’azienda e decidi di puntare sull’internazionalizzazione, c’è un aspetto che è importante mettere a fuoco subito. Aprirsi ai mercati esteri non è un semplice progetto. Si tratta, piuttosto, di una trasformazione strutturale che andrà a coinvolgere l’azienda nella sua totalità.

 

Per dirla in altri termini, non è come farsi fare un vestito nuovo. Non è sufficiente chiamare il sarto (fuor di metafora: affidare la patata bollente a un esterno), dargli qualche indicazione, passargli le tue misure e basta. Perché un processo di internazionalizzazione produca risultati soddisfacenti, è importante che tu – azienda – sia disponibile a impostare un vero e proprio lavoro di squadra. Una trasformazione diffusa e condivisa. E proprio per questo è importante che ci sia accordo sul fatto di portarla avanti.

 

 

I problemi dell’internazionalizzazione (quando non si chiariscono le cose subito)

 

Il figlio spinge per aprire l’azienda ai mercati esteri ma il padre non è d’accordo. Un fratello crede nell’internazionalizzazione e l’altro no. Capita spesso, soprattutto nelle imprese familiari : si avvia un processo ma non tutti sono d’accordo nel portarlo avanti. E questo può essere un grosso problema.

 

Non credere a chi minimizza, dicendoti che in fondo è il commerciale che si occuperà di portare avanti il processo. È un po’ come quando si acquista un macchinario che sarà importante per gli sviluppi dell’attività. Una spesa di questo tipo dovrà essere giocoforza approvata da tutte le componenti decisionali di un’azienda. Questo vale, a maggior ragione, per un processo come l’internazionalizzazione.

 

Per presentarsi in modo competitivo ai mercati esteri, un’azienda dovrà per forza cambiare alcuni aspetti. Questo vuol dire che, in un certo senso, dovrà crescere: l’apertura a un nuovo mercato non è un processo che va avanti a scatola chiusa. In casi come questo è davvero l’unione che fa la forza.

 

 

Cosa può succedere se non sono d’accordo tutte le componenti decisionali?

 

D’altra parte, se non c’è accordo in partenza, purtroppo prima o poi i nodi verranno al pettine. Portare avanti un processo di internazionalizzazione senza accordo, è come camminare sulle uova. Basta poco perché l’equilibrio si rompa.

 

Ogni processo ha i suoi, strutturali, momenti difficili. Quando ci si apre a un mercato estero, per esempio, i risultati possono non essere così immediati . In questo senso, ovviamente conterà molto la serietà della persona a cui ti affiderai. Come ti dicevo, diffida da chi “la fa troppo facile”. Non credere a chi ti promette mari e monti in tempi brevi.

 

Quando si incappa nel classico momento difficile, i problemi iniziano a venire a galla. È allora che la parte non consenziente rischia di mettersi di traverso e fare esplicitamente opposizione. Se le componenti decisionali di un’azienda non sono d’accordo, quindi, il processo di internazionalizzazione rischia di subire una battuta d’arresto. O addirittura di abortire, con relativo spreco di tempo e denaro.

 

Meglio correre ai ripari prima. Aprirsi ai mercati esteri è come salire su un treno per intraprendere un viaggio a largo raggio. È importante, quindi, che nessuno rimanga a terra.

 

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risparmiare costi
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Risparmiare costi commerciali

Ecco i costi che NON devi tagliare se sei un’azienda che vuole risparmiare

 

Risparmiare è cosa buona e giusta, tagliare i costi superflui pure.

Ma come farlo senza tirarsi la zappa sui piedi?

 

Costi superflui e investimenti: qual è la differenza?

 

“Risparmiare”, “tagliare i costi”… queste e altre espressioni simili, ultimamente stanno diventando un mantra per molte aziende. Il perché è più che comprensibile. Inutile che stiamo a girarci tanto intorno: causa pandemia, l’economia mondiale attraversa senza dubbio un momento difficile. Normale, quindi, che un’azienda pensi a come ottimizzare le proprie risorse. Il punto, però, è come farlo.

 

Alcune aziende, per cercare di ridurre all’osso le loro spese, decidono di tagliare sul commerciale. Le ragioni si possono riassumere pressappoco così: “Taglio dove posso, cioè sui costi non immediatamente necessari”. Una motivazione più che comprensibile, che però – se interpretata in modo sbagliata – rischia di innescare un immediato effetto hara-kiri. Vediamo perché.

 

Il punto sta tutto nelle parole ed è da lì che dobbiamo partire. Cosa significa davvero risparmiare? Per molti, risparmiare vuol dire semplicemente “spendere di meno”. Il significato “utile” in termini economici, di questa parola è però un altro. A un’azienda, infatti, non serve spendere ma poco ma ottimizzare le proprie risorse. Ottimizzare vuol dire portare a una condizione o a un risultato che siano i migliori possibili. Il che non significa spendere poco ma saper distinguere ciò che è superfluo da ciò che non lo è.

 

Cioè tagliare i costi inutili e contemporaneamente puntare sugli investimenti.

 

La differenza tra un costo inutile e un investimento è semplice. Il costo inutile è un’emorragia di risorse che escono senza portare nulla in cambio. Al contrario, un investimento è un’uscita che però nell’arco di un orizzonte temporale a breve o medio termine, porterà dei vantaggi. Un’uscita, quindi, che è funzionale a un futuro incremento delle entrate. È il caso degli investimenti sul commerciale.

 

 

Perché non ti conviene tagliare sul commerciale?

 

Un’azienda che per risparmiare decide di tagliare i costi sul commerciale, è un po’ come un tennista che per risparmiare sulle magliette a maniche lunghe, decide di tagliarsi le braccia.

 

Il commerciale, per un’azienda, è come la rampa di lancio senza cui il decollo diventa impossibile. E non avere una rampa di lancio, per un razzo è un po’ come – per un tennista – non avere le braccia.

 

Come dicevo, la pandemia ci sta ponendo delle sfide enormi. È fuor di dubbio: il momento che stiamo attraversando è (e sarà) difficile per qualsiasi realtà economica. Ma è proprio questo, paradossalmente, che oggi rende ancora più importante la figura del commerciale. Soprattutto per quanto riguarda un settore come l’export.

 

Al di là delle chiusure circostanziali, continuiamo infatti a vivere sullo sfondo di un mercato globale. Le stesse difficoltà dei singoli Stati, inoltre, rendono più che mai necessario il fatto di poter “guardare altrove”. Cioè di poter scandagliare l’orizzonte di opportunità disponibili anche a lungo raggio.

 

Un commerciale, oggi e domani, può consentire all’azienda di:

 

1) valutare con cognizione di causa le reali condizioni dei mercati esteri (condizioni che in parte, la pandemia ha sensibilmente cambiato)

 

2) valutare sia le nuove opportunità sia i nuovi rischi esistenti

 

3) individuare i potenziali clienti a cui è meglio rivolgersi oggi, all’interno di una rosa di possibilità che non è la stessa di un anno fa

 

4) considerare il reale stato di salute – a breve e medio raggio – dei clienti a cui rivolgersi (evitando di incappare in potenziali insolvenze)

 

5) aiutare l’azienda a mettere a punto un’offerta commerciale realmente competitiva, che punti cioè sulle reali esigenze di un mercato mutato

 

7) supportare l’azienda in una sfida che oggi e domani sarà ancora più ardua di ieri. Cioè: essere competitivi senza cadere nella trappola dei costi al ribasso.

 

Riassumendo: risparmiare tagliando i costi superflui è possibile. E in questo senso, il commerciale può essere il tuo miglior alleato. Purché, ovviamente, si tratti di un buon commerciale. Quali sono gli elementi in grado di fare la differenza? Come puoi fare per distinguere un buon commerciale da una figura che rappresenta solo un costo superfluo? Ne parleremo nei prossimi articoli!

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L’importanza dei tempi giusti nell’export

L’importanza dei tempi giusti nell’export (e non solo)

 

Quando si parla di export, è fondamentale parlare anche di quelli che sono i tempi giusti. Quali sono e come è possibile stabilirli?

 

 

I tempi dell’export e i tempi del calcio 

 

“Quando potrò ottenere i primi risultati?” Domanda chiave. Chi si occupa di export sa bene di cosa parlo. Quando un’azienda si affida a un professionista per aprirsi su nuovi mercati, una domanda del genere è più che legittima. Personalmente, me l’hanno posta in molti e proprio questo mi ha spinto a riflettere sul tema dei tempi giusti.

 

Ci ho pensato anche ultimamente, quando mi è capitato sott’occhio un post della pagina facebook “Calcio totale”.

Te lo riporto quasi integralmente: “Prima di arrivare al Liverpool ho avuto una riunione con la società. Ho preteso da loro di non essere cacciato anche se non avessi vinto nulla per i primi 2 anni. Non è una questione di contratti, oppure di pretese. Semplicemente penso che ad un mister debba essere dato il tempo di creare la giusta alchimia tra la squadra, l’allenatore, il club e i tifosi. Solo così si può vincere, e non può essere fatto in un anno o due. Ci vuole tempo. Può anche capitare che si vinca al primo anno, ma non è la vittoria del mister. Vedo club che cacciano gli allenatori dopo un anno o addirittura dopo 3/4 mesi. Tutto questo è assurdo. Nessuno ha la bacchetta magica. Io ci ho messo 4 anni per vincere, e 3 anni per far capire il mio concetto di calcio e le mie idee. I miei giocatori per me ora danno tutto, e sono entrati loro nella mia testa e io nella loro. Siamo un uomo solo.

Chi parla è Jurgen Klopp allenatore del Liverpool: se vuoi sapere chi è puoi leggere questo articolo su Repubblica, Jürgen Klopp: il trionfo di un genio normale .

 

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Jurgen Klopp (fonte articolo Corriere.it https://www.corriere.it/sport/19_maggio_08/jurgen-klopp-cuore-ferocia-risate-segreti-dell-allenatore-che-ha-riportato-alto-liverpool-41695b7a-7164-11e9-a32a-79dc5e5aff8e.shtml)

 

Ecco, ti confesso che non appena ho letto queste parole ho capito che l’export e il calcio in fondo hanno qualcosa in comune.

Questione di tempi. Anzi, di tempi giusti

Ma cosa c’entra il calcio con l’export? (puoi anche leggere il mio articolo sul marketing e il tennis  Un’inaspettata lezione di marketing e di vendita)

 

Questione di tempi. Come dicevo, spesso i clienti mi chiedono quanti mesi ci vogliono per ottenere i primi risultati e sbarcare su un nuovo mercato. Una domanda ricorrente nel settore export. Sono molti, i consulenti che se la giocano promettendo tempi record. Tanti ti prometteranno mari e monti, garantendoti che conquisterai un nuovo mercato nel giro di pochi mesi. Cosa che, in realtà, dovrebbe farti capire subito che ti trovi davanti a un venditore di aria fritta. Almeno nella maggior parte dei casi.

 

Sono molti, i motivi per cui – quando si parla di export – i tempi non possono essere così brevi. Mi riferisco a ragioni di tipo pratico e a motivi strutturali. Se un consulente ti propone tempi fulminei, le possibilità sono due. Nel primo caso, la promessa di tempi risicati è un puro e semplice specchietto per le allodole.

Nel secondo caso, il tuo interlocutore ti dirà che ha già un nutrito portafoglio clienti. Questo, però, non è quasi mai vero.

Un portafoglio clienti (che siano realmente ad hoc per l’azienda), non è come i “Quattro salti in padella”. Non può essere già pronto: va costruito strada facendo. Nella maggior parte dei casi, poi, non si tratta di clienti ma di semplici contatti.

E oggi, con internet, ci vuole poco a scaricare una serie di nominativi che in sé non vogliono dire nulla. Insomma, anche solo per ottenere un reale portafoglio clienti, ci vuole tempo. Quanto? Né poco né tanto: più che tempo in astratto, infatti, ci vogliono tempi giusti.

 

Le cose ben fatte hanno sempre dei tempi strutturali che vanno rispettati. Ci vogliono nove mesi perché il corpo di un neonato si formi. Fare il pane, richiede dei tempi di lievitazione che non possono essere scavalcati.

Se non costruisci una casa partendo dalle fondamenta, il tuo edificio crollerà.

 

Per l’export, vale semplicemente la stessa regola. Sbarcare su un mercato estero è un processo che richiede un tempo “giusto”. La domanda giusta da porre e chi si occupa di export, quindi, non è “quando” ma “come e con quale metodo pensi di portarmi a casa i primi risultati?”.

 

La serietà del tuo interlocutore si giocherà in parte proprio su questa risposta.

 

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Export in Germania: 10 buoni motivi
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Export Germania: 10 buoni motivi

10 buoni motivi per cui puntare sull’export in Germania è la scelta migliore

 

Per chi decide di puntare sull’export, la Germania rappresenta un’opportunità di primo livello. Vediamo perché.

 

Perché puntare sull’export in Germania? Eccoci finalmente arrivati al punto. Negli ultimi due articoli ho preso l’argomento un po’alla larga. Mi sembrava giusto offrirti un colpo d’occhio sulle opzioni possibili per chi decide di aprire una strada alla propria azienda verso i mercati esteri. Abbiamo visto perché, oggi, trincerarsi all’interno del mercato italiano è una scelta rischiosa (PERCHE’ VENDERE IN GERMANIA). Abbiamo visto anche quali sono le opzioni possibili in Europa e nel mondo (VENDERE IN EUROPA ). Consideriamo ora i motivi per cui, per un’azienda italiana, la Germania rappresenta la scelta migliore per l’export.

 

 

10 buoni motivi per cui fare export in Germania 

 

1- SIAMO VICINI DI CASA

Ebbene sì, come ben sa chi si occupa di export, il fattore vicinanza è un vantaggio da non sottovalutare. La seconda economia al mondo è proprio a due passi da casa nostra. Questo significa che un viaggio di lavoro in Germania non comporterà mai costi eccessivi. E che ci vorrà poco tempo per raggiungere i propri clienti.

 

2- LA GERMANIA E’ UNO DEI PARTNER ECONOMICI PIU’RICCHI A BREVE RAGGIO

A proposito di mercati floridi, con i suoi quasi 83 milioni di abitanti, la Germania ha un PIL pro-capite di tutto rispetto: 40.633 euro all’anno. Questo, per un’azienda italiana, significa poter intercettare clienti con ottime disponibilità economiche

 

3- LA GERMANIA E’ IL PRINCIPALE PARTNER COMMERCIALE DEL NOSTRO PAESE

Questo è valido sia in termini di import che di export. Tra l’Italia e la Germania è in atto da secoli un legame di interscambio bilaterale. Cioè un rapporto commerciale che ha dimostrato di essere solido nel tempo  (LINK ESTERNO: Industrie italiane: il primo cliente è sempre di più la Germania, mentre la Cina è al lumicino ). Niente fuochi di paglia, quindi. Secondo l’Istituto di Statistica Tedesco, l’Italia è al quinto posto per l’import in Germania. Inoltre, le potenzialità del nostro Paese sono ancora più evidenti se consideriamo l’industria meccanica. Ne parleremo meglio in uno dei prossimi articoli.

 

4- RAPIDITA’ DI PAGAMENTI

Ecco un altro elemento da non sottovalutare! Secondo una ricerca Euler Hermes di qualche anno fa, l’Italia è uno dei paesi in cui si impiega più tempo a incassare un credito. Accanto a noi, sul podio dell’infamia, si attestano come “cattivi pagatori” anche la Cina e la Grecia. Rispetto a questa linea di tendenza, la Germania si colloca agli antipodi. Per dirla con i numeri: in Italia ci vogliono in media 88 giorni per incassare un credito. In Germania ce ne vogliono 30. Una differenza abissale.

 

5- IL DISCRETO FASCINO DEL MADE IN ITALY

La produzione italiana e la cultura del nostro Paese hanno un appeal notevole per il cliente tedesco. Da secoli. In barba ai tanti cliché negativi, il Made in Italy esercita un notevole fascino sui tedeschi. Cosa che, naturalmente, rappresenta un indubbio vantaggio in termini di export.

 

6- LA GERMANIA HA UN MERCATO STABILE

Nel mio ultimo articolo ti ho parlato di quanto incidano sull’export le fluttuazioni dei mercati. A differenza di tanti altri paesi – apparentemente più appetibili – quello tedesco è un mercato stabile. Questo significa che orientare l’export verso la Germania rappresenta una scelta sicura per un’azienda.

 

7- I VANTAGGI DELLA MONETA COMUNE

Chi si orienta verso i mercati extra europei, questo lo sa bene. Avere una moneta comune semplifica i rapporti, ottimizza le tempistiche ed evita un sacco di grattacapi. Un altro punto a favore, per chi decide di puntare sull’export in Germania.

 

Con questi sette punti concludo il mio articolo. “E gli ultimi 3 punti?” ti chiederai. Quelli li troverai nel mio libro “Vendere in Germania”. Ormai, manca pochissimo all’uscita! (https://www.vendereingermania.it/2020/11/01/export/).

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Export in Germania: 10 buoni motivi

 

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A presto

 

Francesco

 

www.vendereingermania.it

 

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Vendere in Europa: cosa sapere

Vendere in Europa e vendere fuori Europa. Ecco cosa è necessario sapere prima

 

L’export è un portentoso strumento di sviluppo per un’azienda: su questo non c’è dubbio. Per chi decidere di vendere in Europa o fuori Europa – però – è necessario avere chiare alcune cose.

 

Se hai letto il mio ultimo articolo (https://www.vendereingermania.it/2020/11/13/perche-vendere-in-germania/) , ti sarai fatto un’idea dei motivi per cui oggi non puoi permetterti di vendere solo in Italia. Il processo di internazionalizzazione spinge a guardare oltre. Tra le opzioni possibili, per esempio, c’è quella di vendere in Europa. Oppure (perché no?) di spingersi molto più in là e di vendere fuori Europa. Con questo articolo, ho pensato di offrirti un colpo d’occhio sulle alternative possibili. Giusto per fare un po’ di spoiler, ti anticipo già che nel prossimo post ti spiegherò perché vendere in Germania è l’opzione migliore. Ma andiamo per gradi.

 

 

Vendere in Europa: sì, ma dove?

 

Piccola premessa doverosa. Vendere all’estero è la scelta migliore solo se non lo fai a caso. Buttarsi “a pesce” nel mare magnum dei mercati esteri non è senz’altro la cosa migliore da fare. È un po’ come sparare nel mucchio sperando di prendere qualcosa, con la differenza che – in questo caso – perderai anche tempo e risorse. Come spiego nel mio libro, che uscirà tra pochissimo (https://www.vendereingermania.it/2020/11/01/export/) “vendere costa”. Quindi è importante farlo con criterio.

 

Vediamo per esempio quali sono le possibilità sul piatto della bilancia per chi decide di vendere in Europa. Sicuramente, uno dei primi paesi che ti verranno in mente sono i nostri vicini d’oltralpe. Cioè la Francia. Quello francese è senza dubbio un mercato di tutto rispetto (http://www.infomercatiesteri.it/paese.php?id_paesi=68# )… ma c’è un “ma”. Un mercato non va mai scelto in astratto. Quindi, per esempio, se ti occupi di meccanica, la Francia non sarà senz’altro la scelta migliore. In questo ramo, infatti, il mercato francese non dà il meglio quanto a opportunità.

 

Altra possibile scelta, in termini di vicinanza: la Svizzera. In questo caso, dovrai però considerare che il paese si colloca fuori dall’Unione Europea. E questo comporta dei costi aggiuntivi. Idem per quanto riguarda la Gran Bretagna, dove la Brexit in corso sta già cambiando un bel po’ di cose. C’è poi il caso della Spagna, un altro interlocutore papabile per chi voglia vendere in Europa. Il mercato spagnolo è senza dubbio di grande interesse ma per il momento è ancora troppo instabile. Investire nelle vendite in Spagna comporta quindi dei rischi concreti. E l’Olanda? Ecco un altro paese interessante, con una solida tradizione commerciale alle spalle. In questo caso, però, bisogna tenere conto delle dimensioni di un paese e di un mercato troppo piccoli.

 

 

Vendere fuori Europa: possibile? Sì, ma a tuo rischio e pericolo 

 

Riassumendo: per chi decide di vendere in Europa, i mercati di certo non mancano. Ma vanno scelti con cura e consapevolezza. Chi, invece, decide di vendere fuori Europa deve farlo con ancora maggior cautela. Le opportunità sono molte ma i rischi sono considerevoli ed è bene valutarli con lucidità. Prendiamo il mercato russo, per esempio: un vasto campo di possibilità, peraltro molto sensibile al fascino del made in Italy. Peccato, però, che l’instabilità politica e i vari colpi di scena come il ricorso all’embargo rendano questo mercato tutt’altro che sicuro.

Questo è vero a maggior ragione per i mercati che – come la Russia – rientravano fra i paesi dell’ex BRICS: Sudafrica, Cina, India e Brasile. Anche in questo caso, vasti campi di opportunità dove però la percentuale di rischio da mettere in conto è altissima. Per non parlare delle spese. Come ti ho detto poco fa, vendere costa ma i costi di chi decide di vendere fuori Europa sono necessariamente molto più alti rispetto a quelli di chi sceglie di vendere in Europa.

Qual è quindi l’opzione migliore per chi decide di vendere all’estero? Quale mercato consente di avere ampie opportunità al netto di una percentuale di rischio bassissima? La mia risposta la conosci di già. Nel prossimo articolo analizzerò uno per uno i motivi che rendono il mercato tedesco così appetibile. Oltre che a portata di mano.

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Vendere in Europa

 

 

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Francesco

 

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Perchè in Germania?
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Perché vendere in Germania?

Perché vendere in Germania o meglio: perché non vendere altrove?

 

 

Vendere in Germania ha molti vantaggi per chi si occupa di vendite all’estero. Ma perché è meglio rivolgersi alla Germania piuttosto che alla Francia, all’Inghilterra o all’Italia?

 

E’ uno degli argomenti di cui parlo nel mio libro “Vendere in Germania: guida pratica per le aziende che vogliono esportare” . Se vuoi saperne qualcosa di più, puoi leggere il mio articolo:

 

“E’ in arrivo il libro!”

 

Vendere in Germania, sì, ma perché proprio in Germania? Questa è una domanda che mi viene posta spesso e che in molti casi va a braccetto con altre due domande. Perché non limitare le proprie vendite all’Italia? Oppure: perché non privilegiare altri paesi europei. Se vuoi approfondire il tema puoi leggere la guida all’export che trovi sul sito della Farnesina:

http://www.infomercatiesteri.it/paesi.php

 

Vendere in Germania non è certo l’unica opzione ma…

 

È un dato di fatto: fino a 15-20 anni fa le cose, per una piccola media impresa italiana, andavano diversamente. Il mercato era più ristretto e locale e limitare le proprie vendite all’Italia era una soluzione diffusa. Con tutti i vantaggi del caso, peraltro. Mi riferisco a costi di viaggio e di spedizione ridotti e alla possibilità di dialogare con i clienti nella propria lingua madre.

 

Se non che… se non che, le cose sono cambiate. Il processo di internazionalizzazione ha rivoluzionato il mondo del commercio e, ovviamente, dell’export. Lo sa bene l’export manager, una figura professionale che è letteralmente venuta alla ribalta. Il successo delle nuove (e vecchie) figure professionali che si occupano di vendere all’estero parla chiaro. Vendere solo in Italia oggi non è impossibile ma non conviene.

 

Perché vendere in Italia non basta?

 

I motivi sono diversi. Conta moltissimo, per esempio l’importanza di non puntare su un unico mercato. Come è evidente, infatti, per motivi interni o esterni, il mercato interno può trovarsi ad affrontare forti criticità. O addirittura periodi – più o meno lunghi – di crisi.

 

Puntare anche su un secondo mercato, può arginare le perdite e garantire un secondo campo di possibilità. Con un duplice vantaggio: in questo modo, infatti, può moltiplicare automaticamente il numero dei tuoi potenziali clienti. E, di conseguenza, le tue opportunità di vendita.

 

C’è di più. Se scegli di guardare solo all’Italia, c’è una cosa che devi avere chiara. Ormai, sul mercato italiano, non ci sei solo tu. Tra le tante conseguenze, l’internazionalizzazione ha avuto anche questa: sul mercato italiano, oggi transitano anche competitors che vengono dall’estero. Che significa questo? Semplice. Se prima la torta veniva divisa tra un certo numero di persone, oggi intorno a quella stessa torta si aggirano molti più buyers. E tutti col piatto teso. Un motivo in più, quindi, per guardare anche al di là del proprio naso.

 

 

L’importanza di guardare oltre. E di puntare bene la bussola 

 

Insomma, per dirla in soldoni, le cose sono cambiate e far finta che questo non sia successo è solo controproducente. Coltivare il proprio orticello senza cercare nuove vie di sbocco (e di sviluppo) non paga. Molto meglio guardare anche oltre-frontiera e sondare le capacità ricettive di altri mercati.

 

Quali? Domanda da un milione di dollari! Il punto, infatti, è evitare di andare a caso. L’export non funziona come la roulette, dove puoi permetterti di puntare sulla fortuna e affidarti al caso. Per esportare sui mercati esteri, è fondamentale usare la bussola e fare affidamento sull’analisi dei contesti di riferimento. Per scegliere un mercato, bisogna conoscerlo.

 

Come puoi intuire, la risposta migliore per me è vendere in Germania. Prima di spiegarti perché, però, voglio sondare altre possibilità sul piatto della bilancia. Te ne parlerò nel prossimo articolo.

 

 

Se ti è interessato il tema di questo articolo e vuoi saperne di più su come esportare il tuo prodotto in Germania, voglio spedirti il Kit  “Starter Kit per vendere in Germania” che ti permetterà di iniziare a contattare clienti in Germania.

 

Perchè in Germania?

 

 

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Francesco

 

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Articoli

É in arrivo il libro!

In arrivo il mio libro dedicato all’export, “Vendere in Germania: guida pratica per le aziende che vogliono esportare”

 

Ci ho lavorato su per mesi senza dire nulla ma finalmente il mio libro dedicato all’export è pronto per essere dato alle stampe. Si intitolerà “Vendere in Germania: guida pratica per le aziende che vogliono esportare”

 

Cosa significa scrivere un libro? Ora che finalmente ho chiuso il mio lavoro, posso confessarlo: quando ho iniziato a scrivere non ero sicuro che sarei arrivato fino alla parola “fine”. Scrivere un libro non è uno scherzo. Quando mi sono messo all’opera, mi sono chiesto più volte se davvero ne valeva la pena. Sono in molti, oggi, a improvvisarsi autori ma il mio obiettivo non era solo scrivere un libro sull’export in  Germania. Quello che volevo, era scrivere un libro sull’export che fosse utile.

 

 

L’export in Germania raccontato e spiegato alla luce del mio metodo 

 

“L’esperienza non è acqua”, dico sempre parafrasando un famoso detto. (vedi mio articolo “Come nasce Vendere in Germania”)

 

CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO

 

Nel mondo dell’export, ho maturato un’esperienza ventennale. Mi sono imbattuto negli errori in cui incappa chiunque. Mi sono chiesto cosa stessi sbagliando. Mi sono fermato a riflettere e ho iniziato a mettere a punto le mie risposte. Poi le ho connesse l’una all’altra all’interno di un quadro organico e ho creato il mio metodo.

 

A proposito di metodo, apro una piccola parentesi. C’è metodo e metodo. Sui banchi di scuola, abbiamo imparato per esempio che esistono il metodo deduttivo e il metodo induttivo. Nel primo caso, si parte da un’idea generale per arrivare a una conclusione più specifica. Nel caso del metodo induttivo, invece, succede proprio il contrario. Si parte, cioè, dal particolare per arrivare all’universale.

 

Ecco, diciamo che il mio metodo funziona proprio così. “Vendere in Germania” è un metodo induttivo che è il frutto di una nutrita serie di esperienze. Il mio libro nasce con l’obiettivo di metterle insieme per evitare a te – che lo leggerai – gli errori in cui mi sono imbattuto io, a suo tempo. E in cui si è imbattuto chiunque abbia provato ad affacciarsi al mondo dell’export.

Se vuoi approfondire l’argomento puoi leggere anche il mio articolo “Già provato ad esportare?”

 

CLICCA QUI PER LEGGERE L’ARTICOLO

 

 

Cosa troverai nel mio libro?  

Nelle pagine del mio libro troverai tante cose. Molte domande, in primis: problemi che mi sono posto io e che probabilmente ti sei posto anche tu. Troverai anche un lungo elenco di errori e di luoghi comuni in cui è facile cadere quando ci si confronta con un paese come la Germania. Esportare, infatti, significa anche comunicare. E quando si entra in relazione con un paese straniero, è facile cadere nella trappola dei clichés.

 

Quali sono gli errori più comuni per chi inizia a vendere in Germania? Come è possibile evitarli? Chi è l’export manager? Quali sono le principali figure che si occupano delle vendite all’estero? Quali sono le caratteristiche del mercato tedesco di cui è necessario tenere conto?

Se hai voglia di farti un’idea, puoi trovare molte letture e dati interessanti sul sito del Ministero degli esteri a questo link:

https://www.esteri.it/mae/it/search?q=site:www.esteri.it%20germania  

 

Queste sono solo alcune delle domande che affronto nel mio libro. E mentre il libro si avvicina sempre di più al momento fatidico dell’uscita, tu continua a seguirmi su questo blog. Nei prossimi articoli, infatti, inizierò ad anticiparti alcune risposte alle domande che ho sollevato. Un piccolo assaggio di ciò che poi troverai in modo molto più approfondito nelle pagine di “Vendere in Germania”.

 

Nell’attesa del libro, se vuoi approfondire il discorso sul mercato tedesco puoi richiedere gratuitamente, lo Starter “KIT – Vendere in Germania” che ti permetterà di iniziare a contattare clienti in Germania.

 

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A presto

 

Francesco

 

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