Articoli

Cosa ci ha insegnato il 2023 dal punto di vista dell’export sui mercati esteri?

Cosa ci ha insegnato il 2023 dal punto di vista dell’export sui mercati esteri?

Fine anno: è tempo di bilanci, anche dal punto di vista dell’export sui mercati esteri. Fare una disamina di cosa ha portato l’anno che sta per chiudersi (non solo al netto dei pro e dei contro, ma anche in base a ciò che ci ha permesso di imparare) è qualcosa che siamo abitualmente portati a mettere in conto. Non solo sul piano professionale ma anche dal punto di vista individuale.

In questo caso, però, vorrei cercare di allargare il tiro e di offrire a chi mi segue una prospettiva leggermente diversa. Un po’più ampia, per così dire. Anziché limitarmi al 2023, infatti, vorrei provare a fare un bilancio a partire dai grandi cambiamenti che ci hanno investiti non solo nel 2023, ma negli ultimi quattro anni.

Non sono il solo a pensarlo: sono in molti, infatti, a ritenere che ormai quasi quattro anni fa, in qualche modo, sia cambiato radicalmente non solo il contesto dell’export sui mercati esteri ma anche – molto più in generale – il mondo in cui viviamo.

Per chi lavora nell’export sui mercati esteri (ma non solo) il mondo è cambiato già 4 anni fa

Fa davvero strano pensarlo, ma sono passati ormai quasi quattro anni da quando la pandemia da Covid ha ridisegnato in modo radicale almeno due elementi. Da una parte, i confini all’interno dei quali ci eravamo sempre mossi agevolmente. Dall’altra, a monte di tutto questo, il concetto stesso di limite e di confine. 

Per chi lavora nel mondo dell’internazionalizzazione di impresa, è sempre stato normale pensare ai confini – e al concetto di limite spaziale – come a qualcosa di perfettamente valicabile. Certo, ci sono sempre stati i costi da mettere in conto. Costi economici, prima di tutto: dogane, tasse ma anche costi di spostamento nel caso di incontri dal vivo con il cliente. E costi in termini di tempo, naturalmente. Come ho spiegato in questo articolo, la pandemia ha ridisegnato, con un clamoroso colpo di spugna, proprio questo tipo di percezione. È diventato difficile muoversi all’interno di confini non solo europei ma anche strettamente regionali, proprio come se fossimo tornati a prima dell’unità, quando l’Italia era spezzettata in una serie infinita di staterelli. Per non parlare degli spostamenti extracontinentali. 

Questo ha portato con sé tutta una serie di conseguenze collaterali, come l’impasse e le difficoltà in cui sono cadute non poche fra le economie emergenti su cui puntava buona parte di chi si muove nell’ambito dell’export sui mercati esteri. 

L’incognita di una guerra all’interno dei confini europei. E le conseguenze delle guerre “lontane”

Quando finalmente la parentesi della pandemia si è chiusa, ci siamo poi trovati faccia a faccia con un altro “imprevisto” che ha messo in crisi alcune delle nostre certezze più consolidate. A partire dall’idea dell’Europa come di un continente, in qualche modo, “al sicuro” dal flagello della guerra.

Certo, negli anni Novanta la guerra nell’ex Jugoslavia – prima – e in Kosovo – poi – avevano già fatto emergere le crepe di questa percezione. C’era stata, poi, negli ultimi anni, la guerra del Donbass… ma diciamocelo: è solo con la guerra tra Russia e Ucraina che – negli ultimi quasi trent’anni – ci siamo resi conto che, in barba alle nostre convinzioni, il conflitto armato può davvero venire a bussare alle nostre porte. 

Nel caso della guerra in Ucraina, il conflitto ha poi avuto – fra i tanti effetti collaterali – quello di rendere off limits un’economia su cui molte aziende attive nell’export sui mercati esteri avevano scelto di puntare: la Russia. Nel 2023, la guerra in Ucraina – iniziata nel 2022 – si è stabilizzata e minaccia di permanere come un conflitto a medio-lungo termine. Detta in parole povere: dovremo imparare a conviverci.

Allo stesso tempo, altri conflitti si sono accesi. Non in Europa, in un certo senso lontano dai nostri radar ma in zone nevralgiche. Mi riferisco, soprattutto, alla guerra israelo-palestinese scatenata a partire dall’attacco del 7 ottobre. Certo, parliamo di una “zona rossa” del pianeta dove – salvo le battute d’arresto scandite da trattati e accordi di pace – la guerra ha rappresentato quasi una costante. L’ultimo conflitto, però, minaccia di essere particolarmente lungo e sanguinoso. Con conseguenze che, vista la posizione chiave dell’area interessata, colpiranno numerosi transiti commerciali e diverse economie. Egitto, Libano e Giordania, per esempio, stanno già pagando il prezzo della guerra.

Tiriamo le fila: cosa possiamo desumere da tutto questo per quanto riguarda l’export sui mercati esteri?

Insomma, anche se il fantasma della pandemia è stato scongiurato, abbiamo a che fare con un panorama complesso e per certi aspetti a fosche tinte. Detto ciò, dalle sfide in corso – e da quelle passate – qualcosa lo possiamo senz’altro imparare. 

Soprattutto, per chi si occupa di internazionalizzazione di impresa, la buona notizia è che è possibile tutelarsi da brutte sorprese e mettere a fuoco delle utili strategie che consentano di andare sul sicuro. In questo articolo, per esempio, parlando dell’impatto della guerra in Ucraina, ho delineato le 2 regole d’oro su cui si può puntare per aprirsi un varco verso i mercati esteri tutelandosi da brutte sorprese. 

Ciò che è certo è che col panorama attuale è più che mai utile puntare su mercati di prossimità che offrano solide garanzie piuttosto che investire in promettenti new entry o (peggio) in veri e propri fuochi di paglia. Sotto questo aspetto, vendere in Germania – come ho raccontato nel mio libro è senz’altro una delle scelte migliori. 

Read More
Articoli

Il Made in Italy continua a piacere al mercato tedesco. Lo dice la Farnesina

Il Made in Italy continua a piacere al mercato tedesco. Lo dice la Farnesina

In uno degli ultimi colpi d’occhio sul rapporto del nostro Paese con il mercato tedesco, la Farnesina ha confermato una linea di tendenza che possiamo definire “storica” o comunque molto di vecchia data. Un vero e proprio evergreen. Mi riferisco al sempre vivo interesse del mercato tedesco per la produzione italiana. 

 

Il Made in Italy, ai tedeschi, continua a piacere e non solo sul versante turistico-culinario. Questa, sicuramente, per chi si occupa di vendere in Germania, è un’ottima notizia.

 

Ai tedeschi i prodotti italiani continuano a piacere. Al di là dei clichés che affermano il contrario

Nonostante siano molti i luoghi comuni che vedono i clienti tedeschi come sprezzanti o addirittura ostili nei confronti degli italiani, la realtà sembra dire il contrario. E se ad affermarlo è il sito ufficiale della Farnesina, possiamo stare tranquilli. 

 

Nell’ultimo report sugli scambi tra produttori italiani e mercato tedesco, i dati disponibili evidenziano un livello di recettività sempre attivo per il Made in Italy. Un risultato da un certo punto di vista prevedibile e da un altro punto di vista un po’meno.

 

Da una parte, infatti, chi – come me – opera sul mercato tedesco da anni e segue i report ufficiali con pazienza certosina, sa bene che i legami commerciali fra Italia e Germania sono qualcosa di consolidato. Una relazione che affonda le radici nel tempo e che ha anche un forte retroterra culturale.

 

D’altra parte, è però anche vero che negli ultimi tre anni sullo scenario europeo (e mondiale) hanno avuto luogo cambiamenti e trasformazioni con cui non prevedevamo di trovarci faccia a faccia. La pandemia in primis e la guerra in Ucraina poi. In entrambi i casi, macro-eventi che hanno shakerato e ribaltato gambe all’aria molti equilibri che abbiamo sempre dato per consolidati. Non era scontato che il legame commerciale tra Italia e Germania ne uscisse illeso, considerando la tendenza alla concentrazione sul mercato interno e su fornitori locali. Eppure, come si evince dal rapporto della Farnesina, la relazione tra il nostro Paese e il mercato tedesco “ha tenuto”. 

 

Quali settori del Made in Italy “piacciono” al mercato tedesco?

Ma quali sono i settori produttivi Made in Italy verso cui il mercato tedesco si mostra più sensibile? Ovviamente viene subito da pensare al turismo e alla produzione enogastronomica ed effettivamente il report ci dice che il settore alimentare e il settore tessile mostrano di avere sempre un’ottima tenuta.

 

Detto ciò, (rullo di tamburi!) il podio spetta in realtà ai seguenti rami, che indico in ordine decrescente:

 

  • Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi (quasi 12 milioni di euro)
  • Prodotti chimici (11 milioni di euro c.ca)
  •  Macchinari e apparecchiature (10.800 milioni c.ca)
  • Prodotti e preparati farmaceutici di base (10.500 milioni di euro c.ca)
  • Prodotti della metallurgia (quasi 7 milioni di euro)

 

Seguono altri settori che non elenco per amor di brevità. Quello che emerge, quindi, è un panorama decisamente buono e molto meno scontato di quanto possa sembrare di primo acchito. Una ragione in più per dimostrare che vendere in Germania, per chi si occupa di export, risulta anche oggi una scelta vincente.

Read More
Articoli

Se ti stai aprendo ai mercati esteri, attento a non commettere questo errore

Sui tedeschi, infatti, circolano forse ancora più luoghi comuni che su altre popolazioni e questo si riflette anche sui rapporti commerciali.

Chi ha appena iniziato ad avere a che fare con clienti tedeschi, quando si avvicinano le ferie teme di perdere credibilità se non garantisce una presenza h24. Problema che, ovviamente, si trasforma in un dilemma ancora più grande quando – alla fine – arrivano le ferie e proprie. Cioè, quelle estive.

 

La tua credibilità sui mercati esteri non dipende dal fatto che tu garantisca una presenza h24

Ebbene sì, quello che ho anticipato nel titolo è in realtà il vero succo del discorso. Sembra di marciare controcorrente, se si consiglia di dare valore al proprio tempo libero ma in realtà non è così. Il nocciolo della questione è che sulla produttività vera e propria circolano dei pericolosi misunderstanding.

Ultimamente, nella hall di un hotel, ho assistito a una scena che mi ha fatto riflettere. Un addetto alle pulizie si affannava a pulire, facendo al tempo stesso anche altre cose: così, di primo acchito, sembrava l’uomo più operoso ed efficiente del mondo ma in realtà i risultati erano mediocri. Molto. Al contrario, un suo collega era seduto su una sedia e si riposava. Lo avevo visto lavorare in una sala attigua qualche ora prima: metodico, ordinato, concentrato. Lo avevo notato subito perché la sala che aveva pulito era impeccabile: evidentemente sapeva come fare il suo lavoro. I risultati parlavano per lui.

Perché ti sto facendo questo esempio? Perché in realtà ciò che conta sono due cose:

  • I risultati
  1. L’organizzazione strategica che consente di raggiungerli in modo metodico e replicabile (non per puro caso, quindi)

Il secondo addetto alle pulizie aveva una strategia, cioè un metodo infallibile di lavoro. Per questo poteva prendersi il lusso di riposare, dopo aver garantito risultati di alto livello.

 

L’affidabilità sui mercati esteri si basa su alcuni elementi chiave

Le ferie servono. Il tempo libero è una risorsa preziosa, anche in termini di produttività: lo si capisce facilmente se si considera la questione dal punto di vista dei risultati. Non è un caso che per persone concrete e operative come gli antichi Romani (che, guarda caso, hanno conquistato un impero) otium e negotium – tempo libero e operatività – fossero due facce della stessa medaglia. Due momenti di cui andava rispettata rigorosamente l’alternanza perché è così che funziona la vita: in base a sistole e diastole.

I tedeschi, questo lo sanno bene. Fra i mercati esteri che conosco e con cui mi confronto quotidianamente, il mercato tedesco spicca per la concretezza della sua visione. Detta in altri termini, ciò che conta per i tuoi clienti tedeschi non è che tu rimanga inchiodato alla tua scrivania, ma il fatto che tu sia “affidabile”. Cioè, che la tua azienda sia in grado di stare ai patti e di rispondere alle aspettative. 

Per riassumere, concediti pure le meritate ferie ma fallo in modo strategico… perché sì, anche il tempo libero richiede (a maggior ragione, anzi) una buona organizzazione strategica. Ecco, di seguito, alcune domande che possono facilitarti in questo senso: hai organizzato tutte le consegne rispettando le tempistiche pattuite? Hai risposto alle mail dei tuoi clienti tedeschi avvertendoli che sarai in ferie e comunicando quando sarai di nuovo disponibile? Hai organizzato una call per il tuo rientro? Hai delegato in modo efficace ciò che andrà fatto in tua assenza, istruendo in modo preciso chi – eventualmente – ti sostituirà? Al di là delle incombenze più concrete, stai tenendo d’occhio la tua pianificazione strategica e quali saranno gli step successivi del tuo sbarco sul mercato estero che hai scelto? Attenzione: l’ultima domanda è fondamentale, almeno tanto quanto le prime. Su questo aspetto, la pianificazione strategica, si fonda il mio metodo “Vendere in Germania” che ho strutturato in diversi step di cui parlo anche nel mio libro.

Se tutte a queste domande la tua risposta è sì, concediti pure una pausa!

Read More
Articoli

5 buoni motivi per scegliere di vendere in Germania

5 buoni motivi per scegliere di vendere in Germania

Lavorare da anni nell’ambito dell’internazionalizzazione d’impresa mi ha fatto toccare con mano la realtà di molte aziende. Ambiti diversi, storie differenti ma – in tutti i casi – un obiettivo ben chiaro: aprirsi un varco verso i mercati esteri. Vendere in Europa, vendere in Germania, conquistare il mercato americano o puntare a Est, verso i colossi asiatici, sono tutte facce della stessa medaglia. Fare impresa oggi significa, giocoforza, guardare oltre il proprio orticello. E farlo con cognizione di causa. 

Internazionalizzazione d’impresa: un lavoro “sartoriale”

Al netto dell’esperienza che mi sono costruito sul campo in anni di lavoro e di studi, ho sempre cercato di guardare a ogni realtà come a un unicum. Non è vero che le aziende sono tutte uguali: ognuna ha la sua storia, le sue problematiche e le sue specificità che devono essere affrontate in modo diverso. Anzi, in modo “dedicato”. Perché le soluzioni che funzionano sul serio sono quelle che vengono messe a punto con un approccio che definirei quasi “sartoriale”: tagliandole e cucendole direttamente addosso al cliente. 

Detto ciò, delle costanti esistono a partire dal nome di questo sito, che (diciamocelo!) parla chiaro. Vendere in Germania e creare una strategia di vendita in grado di aprire un varco verso il mercato tedesco è ciò che consiglio sempre ai miei clienti. 

Ed è in questa direzione che ho lavorato, quando ho costruito il mio Metodo (di cui ho parlato in questo articolo e su cui, se vuoi saperne di più, puoi leggere anche questo articolo). Ma perché vendere proprio in Germania?

Perché vendere in Germania? 5 buoni motivi secondo la Farnesina

Sul perché, dopo anni di lavoro nell’ambito dell’internazionalizzazione d’impresa, ho scelto di specializzarmi aiutando i miei clienti a vendere in Germania, potrei citare diversi buoni motivi. Oggi, però, non è alla mia esperienza personale che voglio appellarmi: preferisco, piuttosto, lasciare la parola a chi – di queste tematiche – ne sa molto più di me. Cioè, nientemeno che al sito della Farnesina secondo cui ci sono almeno cinque buoni motivi per scegliere la Germania come partner commerciale

Vediamoli uno per uno.

  • Italia e Germania: un legame di lunghissima data

In un mondo in cui tutto è fluido e in cui anche i rapporti lavorativi sembrano avere vita sempre più breve, è bene fidarsi di ciò che ha dimostrato di saper durare nel tempo. I rapporti commerciali tra l’Italia e la Germania rientrano a tutti gli effetti fra le relazioni di lunga data e questa è una garanzia di solidità non da poco. Come riporta il sito della Farnesina, secondo fonti accreditate come Destis e Osservatorio Economico, la Germania è il primo partner commerciale dell’Italia con un interscambio bilaterale che nel 2021 si è attestato intorno ai 142,5 milioni di euro.

  • La vicinanza del mercato tedesco

Viaggiare è sempre più semplice e ormai è possibile raggiungere in men che non si dica anche Paesi che si trovano all’altro capo del mondo. È però sotto gli occhi di tutti, con ogni evidenza, il fatto che eventi imprevisti (e a volte imprevedibili) possono rendere non solo difficile ma addirittura impossibile raggiungere clienti lontani. Un esempio, anzi: due. Il periodo della pandemia, che ha reso molto difficile raggiungere i mercati extraeuropei, e la guerra in Ucraina che ha praticamente sbarrato la strada verso uno dei mercati più ambiti degli ultimi anni. Cioè, la Russia. Ecco perché, come sottolinea il sito della Farnesina, la prossimità del mercato tedesco al nostro Paese deve essere vista come un vantaggio non da poco. Via terra, la Germania è raggiungibile passando da diversi valichi alpini. E anche via mare le relazioni tra i nostri due Paesi sono particolarmente agevoli grazie all’accordo con Hamburger Hafen und Logistik Ag (operatore del porto di Amburgo) che ha permesso alla piattaforma logistica di Trieste di svolgere al meglio il proprio ruolo di snodo logistico merci per il mercato tedesco. 

  • Un partner commerciale di tutto rispetto, che in Europa si colloca in posizione strategica

Questo terzo punto va a braccetto con il secondo. E anche con il primo. La Germania è la principale economia dell’Unione Europea. Ce lo dicono i numeri: il Paese conta 84,1 milioni di abitanti e vanta un PIL pro-capite che nel 2021 si attestava intorno ai 43.292 euro annui. Con, in più, un incremento del consumo interno in grado di prospettare notevoli opportunità di vendita interna ai prodotti italiani. La Germania, inoltre, si colloca in posizione decisamente strategica e rappresenta una piattaforma di lancio ideale per raggiungere altri mercati europei.

  • Ai tedeschi, il Made in Italy piace

Già. Contrariamente a quanto affermano molti luoghi comuni sui tedeschi (decisamente da sfatare!), la Germania ha una lunghissima tradizione di fedeltà al Made in Italy. I nostri prodotti piacciono e sono considerati una vera e propria garanzia in termini di cura e professionalità. Il tema è molto ampio e sicuramente, nei prossimi mesi, dedicherò a questo focus un articolo.

  • I millemila vantaggi del mercato interno europeo

Altro aspetto nevralgico che, giustamente, il sito della Farnesina sottolinea molto bene: la Germania offre tutte le garanzie di un Paese che rappresenta la punta di diamante del mercato interno europeo. Si parla di vantaggi molto concreti, tipici di un Paese con un quadro politico, giuridico ed economico stabile e affidabile.  Assenza di barriere doganali e tariffarie, libertà di circolazione di lavoratori, merci e capitali, libertà di insediamento e di prestazione dei servizi, unificazione o armonizzazione di norme tecniche, ecc sono vantaggi molto concreti di cui è bene tenere conto.

Read More
Articoli

Che spazio ha l’intuito all’interno di una strategia di marketing rivolta all’export?

Che spazio ha l’intuito all’interno di una strategia di marketing rivolta all’export?

 

Ci ho pensato un po’prima di scrivere questo articolo. Il tema della strategia di vendita, infatti, è un argomento spinoso e su cui i luoghi comuni – letteralmente – pullulano. Posso dirlo al netto di un’esperienza pluriennale nel settore, che mi ha portato ad approfondire contesti diversi e a farlo (non da ultimo) da posizioni diverse.

 

Chi – al netto delle difficoltà che caratterizzano il contesto attuale – ha deciso di mettersi in discussione, di mettere da parte il classico “si è sempre fatto così” e di dotare la sua azienda di una solida strategia di marketing per l’export o per il mercato interno, si sarà senz’altro reso conto che il panorama, oggi, è piuttosto affollato.

 

Come dirimersi e scegliere la strategia migliore? E come fare per mettere a fuoco l’export manager o il consulente giusto a cui affidarsi? Il punto di partenza potrebbe essere quello di porsi – oltre a tutte queste – una domanda aggiuntiva. Ovvero: che spazio occupa l’intuito all’interno di strategia di marketing? O, detta in altri termini: il professionista a cui ti affiderai dovrà avere un approccio intuitivo o – al contrario – essere più orientato verso la pianificazione?

 

 

Quando l’intuito fa la parte del leone all’interno di una strategia di marketing rivolta all’export

 

Come dicevo, il panorama è particolarmente ricco ma c’è una cosa che ho notato. Ci sono due tipi di consulenti e di export manager, che tenderanno a presentarsi secondo due modalità diverse. Anzi, praticamente opposte.

 

Nel primo caso, il tuo interlocutore si presenterà come una sorta di artista che basa buona parte del suo lavoro sull’intuito. Ti dirà che vendere è un’arte che presuppone una dose fondamentale di creatività e di intuito: che il cliente va “annusato” e scovato affidandosi non dico alle proprie doti medianiche ma quasi. E ti garantirà di essere – giusto per usare una metafora – un ottimo cane da tartufi.

 

Naturalmente ho estremizzato un po’le cose perché tu possa riconoscere questo tipo di approccio: al di là delle ovvie esagerazioni un po’caricaturali, comunque, il succo del discorso non cambia. A voler essere giusti, in questo tipo di approccio – che va soppesato senza pregiudizi e con lucidità – c’è qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato. In realtà, infatti, quando parliamo di strategia di marketing rivolta all’export, non dobbiamo dimenticare che parliamo – appunto – di una strategia, caratterizzata quindi da una concatenazione di passaggi che hanno molto poco di artistico. Una tecnica più scientifica che creativa, quindi.

 

Il talento naturale svolge senz’altro un ruolo ma non ci si improvvisa esperti di marketing né in ambito di export né in altri contesti. Ci sono aspetti nodali che vanno studiati e pianificati, non intuiti.

 

… E l’errore di chi ti dirà che tutto è pianificabile

 

Ma veniamo ora al secondo tipo di interlocutore che potrebbe bussare alla tua porta. In questo caso, ti troverai davanti all’approccio opposto. Cioè ti interfaccerai con un consulente che ti dirà che per mettere a punto una solida ed efficace strategia di marketing rivolta all’export è necessario pianificare in modo rigoroso e certosino ogni singolo passaggio senza lasciare nulla al caso.

 

Personalmente, confesso di riconoscermi più in questo tipo di approccio. Non a caso, ho strutturato il mio metodo per vendere in Germania in 5 fasi di cui ti ho parlato in questo articolo. Detto ciò, sono il primo a dirti che anche un approccio troppo razionale è da prendere con le pinze e svalutare in toto il ruolo dell’intuito è qualcosa di fondamentalmente sbagliato.

 

Credo che il punto, piuttosto, sia chiarire cos’è l’intuito e qual è l’intuito utile che può effettivamente fare la differenza. Ovviamente, una risposta in assoluto non posso darla. Ma posso darti la mia risposta: la verità è che credo che l’intuito utile all’interno di una strategia di marketing orientata all’export non sia un talento innato e che non abbia nulla a che spartire con una sorta di illuminazione divina o artistica.

 

L’intuito “utile” è qualcosa che nasce dall’esperienza e dalla conoscenza profonda del contesto in cui si opera. Un modo di ragionare particolarmente rapido, che riesce ad anticipare alcuni importanti fattori esattamente come fa un giocatore di scacchi. Niente a che vedere con la magia, quindi: l’intuito conta (eccome!) ma è, molto semplicemente, la diretta conseguenza della professionalità e dell’esperienza maturata da chi ti sta davanti.

 

 

 

Read More
Articoli

Le 4 regole d’oro di cui nessuno tiene conto per vendere in Germania (e altrove)

Le 4 regole d’oro di cui nessuno tiene conto per vendere in Germania (e altrove)

 

Basta dare un’occhiata ai corsi di marketing presenti online e offline per rendersi conto che le strategie di vendita sono tante. Tantissime anzi. Ed è naturale che sia così: sia che si tratti di vendere in Germania sia che l’obiettivo sia sbarcare su un altro mercato estero, c’è una cosa di cui è necessario tenere conto.

 

Esattamente come l’arte della guerra (ti ho mai parlato di Von Clausewitz? Leggi il mio libro!) la vendita NON è una scienza esatta. E chi ti dice il contrario mente. Questo non vuol dire che una strategia di vendita sui mercati esteri non sia pianificabile o che non segua delle regole. Significa ammettere, piuttosto, che queste regole non sono fisse ma cambiano. A seconda dei contesti specifici, degli scenari geopolitici globali e di una serie più o meno infinita di altre variabili.

 

Ecco perché, se stai pensando di aprirti ai mercati esteri o di vendere in Germania, prima di consultare un esperto è bene che tu tenga presenti 4 regole d’oro fondamentali, da cui può dipendere il successo (o l’insuccesso) della tua incursione sui mercati stranieri. Si tratta, come dicevo, di regole sostanziali… di cui però – come spesso capita! – paradossalmente non tiene conto nessuno. Eccole qui di seguito.

 

4 regole d’oro preliminari per vendere in Germania

 

  • Conoscenza capillare del contesto di riferimento

Come scrivevo, l’arte della vendita non è una scienza esatta MA (e sottolineo in modo incisivo il “ma”) è al tempo stesso una strategia che ha le sue regole e che – soprattutto – presuppone una conoscenza ferrea di due fattori. Il primo è lo scenario politico, economico e culturale del Paese su cui deciderai di focalizzarti. Se vuoi vendere in Germania, quindi, ti consiglio vivamente di non affidarti a un consulente o a un export manager generalista ma a un professionista che conosca in modo capillare e approfondito il contesto tedesco

 

  • Conoscenza dello scenario geopolitico globale

… conoscere il contesto interno di un Paese, però, non basta. In particolar modo oggi: vivere in un mondo globalizzato implica infatti, giocoforza, saper tenere conto di un numero notevole di fattori, conoscere gli equilibri geopolitici in corso ma anche essere in grado di intuire “dove soffia il vento” e quindi come e se si stanno strutturando equilibri nuovi. Lo scacchiere internazionale, infatti, non è un museo delle cere ma – appunto – uno scacchiere, caratterizzato da mosse continue e difficili da prevedere

 

  • Conoscenza della lingua

Sembra una cosa da nulla ma non lo è fatto. Si dà per scontato che un export manager o un consulente che si occupi di vendita sui mercati esteri debba sapere l’inglese. Cosa, effettivamente, assolutamente necessaria. Conoscere l’inglese, però, non basta. Se vuoi vendere in Spagna devi affidarti a qualcuno che parli spagnolo, se vuoi vendere in Cina devi affidarti a un professionista che conosca la Cina e parli il cinese e se vuoi vendere in Germania dovrai verificare che il professionista a cui ti affiderai parli (bene) il tedesco.

 

  • Capacità di valutare in modo realistico le tempistiche

Questa regola d’oro, che ho messo in fondo, potrebbe tranquillamente essere spostata al primo posto in elenco per l’importanza (fondamentale) che riveste. Una delle prime domande che ti verrà spontaneo rivolgere è infatti: quanto ci metterò a crearmi un varco sui mercati esteri? Quanto tempo ci vuole non solo per intercettare dei contatti utili ma – concretamente – per avere dei clienti paganti? Attenzione, perché la risposta che il tuo interlocutore darà a questa domanda sarà dirimente. Se il consulente che hai davanti ti risponderà che è in grado di garantirti tempi rapidi e che per lui vendere in Germania è un gioco da ragazzi, corri ai ripari e affidati a qualcun altro. Per i motivi che ho approfondito in questo articolo.

Read More
6 conseguenze della pandemia utili per chi si occupa di export
Articoli

6 conseguenze della pandemia utili per chi si occupa di export

6 conseguenze della pandemia utili per chi si occupa di export

Febbraio è tempo di anniversari. Da una parte, tra una settimana ricorrerà un anno dall’inizio della guerra in Ucraina (di cui, per quanto riguarda l’impatto sull’export, (ti ho parlato nel mio ultimo articolo), dall’altra alla fine di questo mese saranno trascorsi tre anni da quel disastroso febbraio-marzo 2020 in cui la pandemia da Covid è entrata nelle nostre vite.

Oggi viaggiamo sicuramente in acque migliori, per quanto riguarda la pandemia, e possiamo approfittarne per tirare un sospiro di sollievo e fare un po’di bilanci. Al netto del dramma umano, degli strascichi e delle innumerevoli difficoltà che il Covid ha portato con sé, ci sono però alcune cose che possiamo “portarci a casa” dal periodo pandemico e che è utilissimo mettere a fuoco per chi si occupa di export. 

 

Export: tutto quello che ci ha “portato” la pandemia e che può aiutare chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa a lavorare meglio

  • MAGGIOR DISPONIBILITA’ DI STRUMENTI PER LAVORARE ONLINE

Se, prima del Covid, la maggior parte delle riunioni da remoto veniva fatta via Skype (o tramite piattaforme aziendali specifiche) la pandemia ha stimolato – o in certi casi, sdoganato – lo sviluppo di piattaforme aggiuntive, in parte nuove e in parte – nel caso di quelle già esistenti – dotate di strumenti in più.

  • ALFABETIZZAZIONE ALL’USO DEGLI STRUMENTI ONLINE

Chi lavora nel mondo dell’export lo sa benissimo: interfacciarsi con clienti che sappiano utilizzare gli strumenti online è tutto meno che scontato. O meglio, lo era prima della pandemia. Volenti o nolenti, molti tra i più refrattari hanno dovuto adeguarsi e mettersi di buzzo buono a familiarizzare con la rete e con gli strumenti necessari a comunicare da remoto. I lockdown lo hanno reso necessario, non solo per poter continuare a lavorare ma per ragioni di semplice sopravvivenza psicologica: per poter continuare, cioè, a interagire con gli altri.

  • PIU’POSSIBILITA’PER FARE NURTURING CON I PROPRI CONTATTI CONTRIBUENDO A TRASFORMARLI IN CLIENTI

Dalla pandemia in poi, anche grazie alla disponibilità delle nuove piattaforme, il numero delle videocall e delle riunioni online è aumentato in modo esponenziale, sia sul fronte personale sia sul lavoro. Poter fare più videocall (“mettendoci la faccia” anziché utilizzando solo la comunicazione via mail) è uno strumento utilissimo per coltivare e rinsaldare i rapporti con i propri contatti facendo quello che in gergo si chiama lead nurturing. Nutrire i propri contatti con contenuti utili alla loro crescita e finalizzati a creare un rapporto di fiducia che li trasformi in clienti: questo è un aspetto importassimo per chi si occupa di export, un fattore che viene tradizionalmente portato avanti attraverso le newsletter ma che ora può essere integrato con ulteriori strumenti.

  • … E PIU’POSSIBILITA’ PER FIDELIZZARE CHI E’GIA TUO CLIENTE, CONSOLIDANDO IL RAPPORTO CON LUI

Idem come sopra, ma per quanto riguarda coloro che sono già tuoi clienti.

  • PIU’POSSIBILITA’DI DIFFERENZIARSI DAI PROPRI COMPETITOR, BILANCIANDO L’UTILIZZO DI ONLINE E OFFLINE

Ebbene sì, l’aumento dei canali e delle comunicazioni online da una parte rappresenta un plus che va sfruttato al meglio, dall’altra costituisce un aspetto che va obbligatoriamente bilanciato. In un mondo in cui, ormai, quasi tutti – a volte anche per pigrizia o per risparmiare tempo e denaro – tendono a centellinare le riunioni dal vivo, proporre a un cliente un incontro in carne e ossa o fare un viaggio dal vivo, quando è il caso, può davvero aiutarti a fare la differenza rispetto ai tuoi competitor. Se vuoi approfondire, ne ho parlato in questo articolo

  • UNA CONFERMA SULLA TENUTA DI ALCUNI MERCATI

Last but not least, la lunga crisi innescata dalla pandemia ci ha anche dato un’ulteriore conferma sull’effettiva tenuta o meno dei mercati esteri. In questo senso, il mercato tedesco – per esempio – ha mostrato ancora una volta la sua solidità confermando di essere un interlocutore ideale per chi si occupa di export.

 

Read More
internazionalizzazione d'impresa
Articoli

Cosa ha insegnato la guerra in Ucraina a chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa

Cosa ha insegnato la guerra in Ucraina a chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa

Alla fine di questo mese sarà trascorso un anno dall’inizio della guerra in Ucraina. Un conflitto che è scoppiato praticamente dietro l’angolo di casa e che ha profondamente – anche se in modo indiretto – modificato le nostre vite e la nostra percezione della guerra. Se fino a poco tempo fa pensavamo di essere nella classica “botte di ferro” e ci sentivamo tutto sommato sicuri, nel nostro caro Vecchio Continente, oggi ci sentiamo sicuramente più fragili e spaventati.

Al di là dell’impatto psicologico, però, la guerra in Ucraina ha avuto anche un’altra incidenza come ben sa chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa. Parlare di export, oggi, significa anche parlarne alla luce del conflitto russo-ucraino. Cosa può imparare dalla situazione in corso chi si occupa di export?

 

Se ti occupi di internazionalizzazione d’impresa, devi tener d’occhio la geopolitica

Ebbene sì, con la geopolitica non si scherza. Soprattutto se si opera nel mondo dell’export. Gli equilibri geopolitici sono sempre dei rapporti fragili ma non per questo imprevedibili. La guerra in Ucraina ci ha colpiti in modo profondo ma non possiamo dire, con questo, che si sia trattato di un fulmine a ciel sereno. Che la situazione fosse critica, lo sapevamo da anni e se è vero che nessuno di noi ha la sfera di cristallo e che lo scoppio del conflitto non si poteva prevedere, è anche vero che chi si occupa di internazionalizzazione d’impresa aveva tutti gli elementi per prendere atto della fragilità della situazione.

Cosa significa questo? Non mi stancherò mai di dirlo e l’ho ribadito anche nel mio libro: quando si sceglie un mercato su cui fare export, bisogna valutare un ampio ventaglio di fattori. Chi, negli ultimi anni, ha deciso di puntare solo la Russia, ha scelto un mercato ricco, promettente ma – ahimè – fragile e rischioso dal punto di vista politico. E oggi si ritrova a gestire una situazione di enorme complessità. 

La buona notizia è che – almeno in una certa misura – tutelarsi da situazioni simili è possibile. Ecco come.

 

Le 2 regole d’oro per scegliere dove (e come) fare export tutelandosi da brutte sorprese

Se ti occupi di internazionalizzazione d’imprese e vuoi scegliere i mercati a cui rivolgerti tutelandoti da brutte sorprese, sono due le regole d’oro che devi tenere in considerazione.

La prima è: scegli i tuoi mercati in base a criteri di selezione multifattoriali. Il fatto che un mercato sia florido, dinamico e ricettivo è senz’altro un fattore positivo ma questi elementi devono essere messi sul piatto della bilancia insieme ad altri fattori altrettanto importanti. Se un mercato è economicamente promettente ma politicamente fragile, purtroppo saranno da mettere in conto colpi di scena che potrebbero influire in modo radicale anche sul piano economico. 

Seconda regola d’oro: attenzione a puntare su un unico mercato ma attenzione alla scelta opposta (strafare non premia). Come sostengo sempre, quando si decide di aprirsi a nuovi mercati è bene farlo in modo prudente, passo dopo passo. Il primo mercato su cui consiglio sempre di puntare per fare internazionalizzazione d’impresa, è meglio che sia un mercato solido e sicuro. Come quello tedesco, per esempio. Se inizierai da un mercato apparentemente più promettente ma politicamente più fragile, rischierai solo di costruire un elefante dai piedi d’argilla. 

Solo dopo aver puntato e aver fatto crescere il tuo export su un mercato sicuro, potrai rivolgerti a mercati più rischiosi sentendoti comunque abbastanza sicuro. Se, viceversa, hai iniziato aprendoti a un mercato rischioso, ti consiglio invece di evitare di puntare tutto su un’unica carta e di aprirti anche – parallelamente – a una seconda scelta, selezionando un mercato più solido. 

Read More
Articoli

Online o offline? Qual è lo strumento migliore per avviare l’export verso i mercati esteri

Online o offline? Questo è il dilemma! Potremmo fare il verso alla famosa esclamazione di Amleto per dare voce a quella che, oggi, è una domanda ricorrente per chi lavora nell’export e sta iniziando a farsi strada sui mercati.

Sia che si parli di vendere in Germania, sia che si parli di aprirsi la strada su altri mercati esteri, scegliere lo strumento giusto per comunicare con i propri clienti è un aspetto di prioritaria importanza. Sbagliare, in questo senso, può costare caro e compromettere l’efficacia dell’intera strategia di marketing.

Vediamo quindi di fare un po’di chiarezza.

 

Perché l’online è diventato così importante nell’export per l’apertura ai mercati esteri

La pandemia ci ha cambiati: va detto. Il cambiamento è avvenuto su più fronti, sia sul piano individuale, sia su quello dei rapporti interpersonali one to one, sia nell’ambito dei rapporti lavorativi.

Si è parlato per anni di smart working, soprattutto nell’accezione del remote working (il lavoro da remoto). Lo si è visto, in modo puramente teorico, come un’opportunità di sviluppo ma è solo con la pandemia che la situazione concreta e l’esistenza di difficoltà inimmaginabili fino a qualche mese prima hanno innescato uno sviluppo a macchia d’olio del lavoro da remoto. Con tutti i pro e i contro del caso.

Tra i pro, va sicuramente considerata la messa a disposizione di nuovi mezzi. Se prima della pandemia, buona parte delle videocall e delle riunioni da remoto con clienti esteri si tenevano su Skype, sulla scia dei lockdown abbiamo iniziato ad adottare tutti in modo massivo anche altri strumenti e altre piattaforme.

Export e apertura verso mercati esteri hanno iniziato a “viaggiare” (è proprio il caso di dirlo!) sul filo di Meet, Zoom e di altre piattaforme che hanno potenziato la possibilità di parlarsi e di non interrompere il flusso della comunicazione face to face.

Questo ha portato anche a un’altra conseguenza più che positiva in termini di alfabetizzazione informatica. Si parla molto di quanto, su questo aspetto, l’Italia sia indietro ma la verità, come ben sa chi si occupa di mercati esteri, è che questo problema riguarda anche altrove le aziende. Come capita in molti casi “la necessità aguzza l’ingegno”. In questo senso, l’impossibilità di fare altrimenti ha portato molti a dotarsi delle risorse tecnologiche e delle competenze necessarie per utilizzarle.

 

I “contro” dell’online. E i motivi per cui oggi l’offline può fare la differenza

Viva l’online quindi? Sì, ma attenzione a non esagerare! È quello che stanno facendo molte aziende ed è anche il motivo per cui – se farai la tua scelta in modo lucido e consapevole – la tua azienda potrebbe davvero fare la differenza in ambito export, aprendosi strade privilegiate verso i mercati esteri.

L’eccesso di online, infatti ha provocato due conseguenze:

  • l’emergere di una palpabile insofferenza verso gli “schermi”. Abbiamo talmente abusato delle modalità di comunicazione online anche sul piano dei rapporti privati, che oggi non ne possiamo più di videocall e comunicazioni via Meet
  • potendole svolgere online, le riunioni si sono moltiplicate a dismisura. Questo, tra le tante conseguenze ha anche quella di livellare e uniformare le relazioni in modo tale da rendere più difficile fare distinzioni tra incontri di peso e incontri di minore importanza. Detta in pillole: i tuoi potenziali clienti, se contattati esclusivamente online, rischiano davvero di non fare differenza tra te e altri contatti. Questo significa che esagerare con l’online rende più difficile trasformare un contatto in cliente

E quindi, viva l’offline? La verità è che non esiste – in astratto – un canale migliore di un altro. La differenza la fa la capacità di integrare due modalità di comunicazione che ormai fanno parte delle nostre vite all’interno di una strategia di marketing concepita in modo non casuale. Cioè con la dovuta professionalità e soprattutto “caso per caso”. L’internazionalizzazione d’impresa, infatti, è tutto meno che un gioco da ragazzi!

Vuoi saperne di più? Contattami subito.

Read More
Articoli

I luoghi comuni sui tedeschi che devi demolire se vuoi vendere in Germania

C’è una cosa che noto sempre, quando entro in contatto con un nuovo cliente che vuole aprirsi al
mercato tedesco: prima di iniziare a lavorare insieme, dovrò darmi da fare per demolire parecchi
luoghi comuni sui tedeschi.

Pregiudizi e luoghi comuni: a cosa servono e a cosa NON servono

I pregiudizi, si sa, non sono merce rara e a ben vedere non sono per forza qualcosa di negativo. In
fondo, quando ci rapportiamo con qualcosa di nuovo – che non conosciamo ancora – lo facciamo
sempre armati di un filtro. Di uno strumento che ci aiuti a farci un’idea e a darci indicazioni su come
agire. Questo filtro è appunto il luogo comune: l’immagine dell’altro che abbiamo assimilato
dalla società o dall’ambiente in cui siamo immersi.

Il problema, quindi, non è il luogo comune in sé: il problema è quando questo luogo comune ci dà
un’immagine errata di chi ci sta di fronte, trasformandosi nel classico bastone fra le ruote e
impedendoci di agire nel modo migliore. Questo, naturalmente, capita quando ci si entra in
contatto con un mercato estero. Sono tantissimi i luoghi comuni (sbagliati!) che abbiamo sui
tedeschi.

In questo e nei prossimi articoli, ne metterò a fuoco qualcuno per aiutarti a entrare in contatto con il
mercato tedesco in modo più lucido e più libero.

I luoghi comuni sui tedeschi: “sono troppo schematici”

Sono troppo rigidi. Troppo schematici. Noi italiani siamo creativi: i tedeschi, invece, se li togli fuori
dal loro schema fisso non sanno cosa fare.

Quante volte mi è capitato incappare in questi clichés!

In questi luoghi comuni sui tedeschi, in realtà, c’è qualcosa di falso ma anche qualcosa di vero.
Metterlo a fuoco ti permetterà di capire come rapportarti con una delle caratteristiche principali che
guidano la mentalità (e il mercato!) dei tuoi futuri clienti in Germania.

È vero, per esempio, che il modus operandi di un’azienda tedesca è tendenzialmente più
improntato a schemi rispetto a quello di un’azienda italiana. Questi schemi, però, non sono delle
gabbie ma delle procedure. Una procedura è un percorso fisso che è stato scelto in base
all’esperienza perché più funzionale ed efficace rispetto ad altri: adottarlo consente quindi di
risparmiare tempo e denaro (a meno che lo schema sia sbagliato, ma questo è un altro paio di
maniche!)

L’assenza di procedure è in realtà molto spesso il tallone di Achille di molte aziende italiane. Un
problema di mentalità con cui mi imbatto quando lavoro con loro portando il mio metodo – di cui
ho parlato in questo articolo – che è, appunto, una procedura. È vero che molte aziende italiane
sono dotate di una buona dose di creatività, qualità peraltro che i clienti tedeschi apprezzano
molto. È anche vero, però, che molto spesso quella che viene definita come creatività è in realtà
disorganizzazione o mancanza di affidabilità.

Cosa ti è utile sapere per interfacciarti con un cliente tedesco nel modo migliore
Volendola guardare da un altro punto di vista, credo che i luoghi comuni sui tedeschi – presi nel
modo giusto e parzialmente decostruiti – possano fornire indicazioni preziose. Sulla questione

degli schemi e delle procedure, ecco qualche consiglio che può aiutarti a trarre il meglio dalla
cosiddetta schematicità delle aziende tedesche.

1- Prima di entrare in contatto con un’azienda tedesca, analizza in modo critico il modus
operandi della tua azienda e – se non le hai – adotta delle procedure utili, che ti servano
a ottimizzare il tuo lavoro

2- Osserva sempre scrupolosamente quello che è stato fissato nero su bianco, quando
stipuli un accordo con un’azienda tedesca. I tuoi clienti faranno la stessa cosa e si
aspetteranno massimo rigore da te

3- Non promettere mai più di quanto tu possa effettivamente garantire. Quando, ad
esempio, viene decisa la data di una consegna, evita di fissare un termine troppo stretto.
Meglio prenderti una settimana in più e garantire le tempistiche stabilite. Se sgarrerai, il tuo
cliente tedesco non solo te lo farà notare ma reagirà anche molto male

4- Attenzione agli ordini! Effettuare una prima consegna in modo impeccabile e poi scadere
sulle successive farà sì che i tuoi clienti confermino i loro luoghi comuni sugli italiani perché
sì… anche i tedeschi hanno i loro clichés!

5- Attenzione alla lingua: il primo rischio di fraintendimenti passa sempre da lì. Insisto
sempre molto, con i miei clienti, sull’importanza di affidarsi a un consulente che parli
fluentemente tedesco. L’inglese non basta (molte aziende tedesche non parlano) e per
comprendere in modo preciso le procedure di un’azienda tedesca e stipulare un accordo, è
fondamentale che ci si capisca sul serio

Ovviamente questi sono solo alcuni dei consigli che ti posso dare in merito. Altri, li troverai nel mio
libro ma la maggior parte nascono dal colloquio diretto. Ogni azienda, infatti, rappresenta un caso
a sé che tendo a guardare in modo specifico e non standardizzato. Contattami pure, quindi, se
vuoi saperne di più

Read More