Cosa ci ha insegnato il 2023 dal punto di vista dell’export sui mercati esteri?
Fine anno: è tempo di bilanci, anche dal punto di vista dell’export sui mercati esteri. Fare una disamina di cosa ha portato l’anno che sta per chiudersi (non solo al netto dei pro e dei contro, ma anche in base a ciò che ci ha permesso di imparare) è qualcosa che siamo abitualmente portati a mettere in conto. Non solo sul piano professionale ma anche dal punto di vista individuale.
In questo caso, però, vorrei cercare di allargare il tiro e di offrire a chi mi segue una prospettiva leggermente diversa. Un po’più ampia, per così dire. Anziché limitarmi al 2023, infatti, vorrei provare a fare un bilancio a partire dai grandi cambiamenti che ci hanno investiti non solo nel 2023, ma negli ultimi quattro anni.
Non sono il solo a pensarlo: sono in molti, infatti, a ritenere che ormai quasi quattro anni fa, in qualche modo, sia cambiato radicalmente non solo il contesto dell’export sui mercati esteri ma anche – molto più in generale – il mondo in cui viviamo.
Per chi lavora nell’export sui mercati esteri (ma non solo) il mondo è cambiato già 4 anni fa
Fa davvero strano pensarlo, ma sono passati ormai quasi quattro anni da quando la pandemia da Covid ha ridisegnato in modo radicale almeno due elementi. Da una parte, i confini all’interno dei quali ci eravamo sempre mossi agevolmente. Dall’altra, a monte di tutto questo, il concetto stesso di limite e di confine.
Per chi lavora nel mondo dell’internazionalizzazione di impresa, è sempre stato normale pensare ai confini – e al concetto di limite spaziale – come a qualcosa di perfettamente valicabile. Certo, ci sono sempre stati i costi da mettere in conto. Costi economici, prima di tutto: dogane, tasse ma anche costi di spostamento nel caso di incontri dal vivo con il cliente. E costi in termini di tempo, naturalmente. Come ho spiegato in questo articolo, la pandemia ha ridisegnato, con un clamoroso colpo di spugna, proprio questo tipo di percezione. È diventato difficile muoversi all’interno di confini non solo europei ma anche strettamente regionali, proprio come se fossimo tornati a prima dell’unità, quando l’Italia era spezzettata in una serie infinita di staterelli. Per non parlare degli spostamenti extracontinentali.
Questo ha portato con sé tutta una serie di conseguenze collaterali, come l’impasse e le difficoltà in cui sono cadute non poche fra le economie emergenti su cui puntava buona parte di chi si muove nell’ambito dell’export sui mercati esteri.
L’incognita di una guerra all’interno dei confini europei. E le conseguenze delle guerre “lontane”
Quando finalmente la parentesi della pandemia si è chiusa, ci siamo poi trovati faccia a faccia con un altro “imprevisto” che ha messo in crisi alcune delle nostre certezze più consolidate. A partire dall’idea dell’Europa come di un continente, in qualche modo, “al sicuro” dal flagello della guerra.
Certo, negli anni Novanta la guerra nell’ex Jugoslavia – prima – e in Kosovo – poi – avevano già fatto emergere le crepe di questa percezione. C’era stata, poi, negli ultimi anni, la guerra del Donbass… ma diciamocelo: è solo con la guerra tra Russia e Ucraina che – negli ultimi quasi trent’anni – ci siamo resi conto che, in barba alle nostre convinzioni, il conflitto armato può davvero venire a bussare alle nostre porte.
Nel caso della guerra in Ucraina, il conflitto ha poi avuto – fra i tanti effetti collaterali – quello di rendere off limits un’economia su cui molte aziende attive nell’export sui mercati esteri avevano scelto di puntare: la Russia. Nel 2023, la guerra in Ucraina – iniziata nel 2022 – si è stabilizzata e minaccia di permanere come un conflitto a medio-lungo termine. Detta in parole povere: dovremo imparare a conviverci.
Allo stesso tempo, altri conflitti si sono accesi. Non in Europa, in un certo senso lontano dai nostri radar ma in zone nevralgiche. Mi riferisco, soprattutto, alla guerra israelo-palestinese scatenata a partire dall’attacco del 7 ottobre. Certo, parliamo di una “zona rossa” del pianeta dove – salvo le battute d’arresto scandite da trattati e accordi di pace – la guerra ha rappresentato quasi una costante. L’ultimo conflitto, però, minaccia di essere particolarmente lungo e sanguinoso. Con conseguenze che, vista la posizione chiave dell’area interessata, colpiranno numerosi transiti commerciali e diverse economie. Egitto, Libano e Giordania, per esempio, stanno già pagando il prezzo della guerra.
Tiriamo le fila: cosa possiamo desumere da tutto questo per quanto riguarda l’export sui mercati esteri?
Insomma, anche se il fantasma della pandemia è stato scongiurato, abbiamo a che fare con un panorama complesso e per certi aspetti a fosche tinte. Detto ciò, dalle sfide in corso – e da quelle passate – qualcosa lo possiamo senz’altro imparare.
Soprattutto, per chi si occupa di internazionalizzazione di impresa, la buona notizia è che è possibile tutelarsi da brutte sorprese e mettere a fuoco delle utili strategie che consentano di andare sul sicuro. In questo articolo, per esempio, parlando dell’impatto della guerra in Ucraina, ho delineato le 2 regole d’oro su cui si può puntare per aprirsi un varco verso i mercati esteri tutelandosi da brutte sorprese.
Ciò che è certo è che col panorama attuale è più che mai utile puntare su mercati di prossimità che offrano solide garanzie piuttosto che investire in promettenti new entry o (peggio) in veri e propri fuochi di paglia. Sotto questo aspetto, vendere in Germania – come ho raccontato nel mio libro – è senz’altro una delle scelte migliori.